L'antisemitismo, termine introdotto da Wilhelm Marr nel 1873, designa l'ostilità nei confronti degli ebrei (Giudaismo) o ne contesta l'equiparazione agli altri cittadini ricorrendo a argomenti emotivi o ideologici che si combinano con teorie razziste, accuse di matrice economico-sociale o argomenti teol.-religiosi. Soprattutto nella più recente ricerca storiografica ted. si distingue fra antigiudaismo tradizionale (a sfondo religioso) e antisemitismo laico-moderno (razzista), anche se nei due atteggiamenti si ritrovano modelli e motivi uguali o simili. Ritenuto generalmente espressione razzistica (Xenofobia), l'antisemitismo è caratterizzato da carenze psichiche, fissazioni nevrotiche e fanatismo.
Dal Medioevo al 1848
Le radici medievali e della prima epoca moderna dell'ostilità dell'Occidente cristiano nei confronti degli ebrei risalgono alle idee antiebraiche dell'antichità, a passi neotestamentari, alle dispute dei primi cristiani e a scritti dei Padri della Chiesa. Secondo la dottrina cristiana, il popolo ebraico era stato sostituito da quello cristiano nel ruolo di popolo eletto: vivendo in condizioni servili e confinato nelle diaspore, il "resto di Israele" sarebbe stato testimone della verità della fede cristiana, cui, alla fine dei tempi, si sarebbe convertito. Fino ad allora essi avrebbero dovuto condurre un'esistenza marginale, sottostando da un lato a restrizioni riguardanti l'esercizio della professione e della proprietà (per esempio divieto di coltivare campi, possedere terreni o accedere a corporazioni artigiane), limitazioni nelle libertà di spostamento e domicilio (quartieri ebraici, tassa per la protezione degli ebrei), stigmatizzazioni esteriori con particolari contrassegni e copricapi (quarto Concilio lateranense, 1215), giuramenti speciali per gli ebrei, dall'altro al loro confinamento nello stato di servi camerae. Quest'ultimo, stabilito dall'imperatore Federico II nel 1236, consisteva nell'assoggettamento della popolazione ebraica al potere imperiale, ed era cedibile come regalia a principi regnanti e città (Imposta sugli ebrei); fu effettivamente ceduto anche a città come Berna, Zurigo o Basilea. Stereotipi antigiudaici si ritrovavano nei sermoni degli ordini mendicanti, così come argomenti antitalmudici ricorrevano nei testi di movimenti cristiani quali i crociati o i flagellanti e nelle accuse dell'Inquisizione. Gli ebrei erano inoltre accusati di praticare l'usura a causa delle loro attività creditizie, fino al tardo ME proibite dalla Chiesa ai cristiani; nel XII sec. essi incominciarono anche ad essere accusati di profanare l'ostia e di compiere sacrifici umani.
L'ultima di queste accuse provocò tumulti a Berna (1294) e, nell'odierna Svizzera nordorientale, a Diessenhofen, Sciaffusa e Winterthur (1401); medici ebrei molto stimati - come un certo David a Sciaffusa nel 1539 - furono tacciati di ciarlataneria. Dalla Francia e dalla Savoia si diffuse in territorio conf. la voce che attribuiva la causa della peste del 1348-49 ad acqua di sorgente avvelenata dagli ebrei. Le persecuzioni nei loro confronti cominciarono a Vaud (Chillon, Villeneuve), proseguirono a Berna e a Zofingen e si estesero anche a Soletta, Zurigo, Basilea e Strasburgo. Fino alla fine del XV sec. l'antigiudaismo cristiano e l'ostilità a sfondo economico (accanto alle tradizionali accuse di usura, l'allentamento del divieto di percepire interessi da cui derivò una maggiore concorrenza da parte di lombardi e caorsini) portarono in diverse località al bando - a volte abrogato e poi reintrodotto - o alla fuga degli ebrei, che vivevano esclusivamente nelle città e in condizione di isolamento sia religioso sia sociale: è quanto avvenne per esempio a Basilea (1397), Berna (1349, 1392, 1427), Friburgo (1428), Ginevra (1490), Lucerna (1384) e Zurigo (1349, 1423, 1436). L'antigiudaismo regnante nel XV sec. emerge anche in un passaggio della cronaca di Konrad Justinger, secondo cui le reliquie miracolose deposte sotto l'altare della Croce, o altare Ruf, della chiesa parrocchiale (cattedrale dal 1420) di Berna sarebbero le spoglie di Ruf (Rudolf), un bambino cristiano che si supponeva sacrificato da ebrei nel 1288 in occasione di un rituale di morte. Nei primi sec. dell'epoca moderna, gli ebrei - con l'eccezione dei medici, per esempio a Friburgo o a San Gallo - erano tollerati nell'odierno territorio sviz. per lunghi periodi solo nel principato vescovile di Basilea e nei baliaggi comuni (Turgovia, Rheintal, contea di Baden). I cant. conf. emanarono divieti di domicilio, di commercio, di trasporto e perfino di accesso (per esempio a Zurigo nel 1634). Nel 1737 la Dieta fed. limitò il diritto di domicilio per gli ebrei alla contea di Baden, e, di fatto, ai soli due villaggi di Endingen e Lengnau; brevi soggiorni in altre località erano permessi a mercanti ebrei solo in occasione di mercati e fiere (per esempio a Zurzach). Alla fine del XVIII sec. soltanto a Carouge (GE), che apparteneva allora alla Savoia, esisteva una comunità ebraica.
Pregiudizi cristiani antiebraici si tramandarono sotto forma di testi e immagini: gli ebrei venivano derisi, contrapposti collettivamente come Synagoga all'Ecclesia e rappresentati come nemici di Cristo e deicidi su finestre e portali di chiese, in cronache, fogli volanti, sacre rappresentazioni e pezzi teatrali. I riformatori sviz. svilupparono un'immagine ambivalente degli ebrei, della cui realtà, in genere, avevano peraltro scarsa conoscenza. Zwingli, ad esempio, utilizzò stereotipi antiebraici nella lotta contro la Chiesa catt., e Calvino si lanciò in una dura polemica contro gli ebrei; Heinrich Bullinger, invece, prese in parte le distanze dagli scritti antigiudaici di Lutero. Ebraisti cristiani come Sebastian Münster e Johannes Buxtorf (1564-1629), che contribuirono attraverso l'insegnamento e la stampa alla diffusione della letteratura ebraica, desideravano invece l'assimilazione religiosa e sociale degli ebrei. Ancora in epoca illuminista Johann Caspar Ulrich incarnò questo atteggiamento ambiguo con la sua raccolta di storie ebraiche (Sammlung jüdischer Geschichten, 1768).
I miglioramenti giur. introdotti dalla Costituzione elvetica del 28.3.1798 per gli ebrei residenti nell'odierno cant. Argovia - fra gli altri, libertà di culto, abolizione di tributi speciali quali il salvacondotto e la capitazione, concessione dello statuto di forestieri domiciliati (ma senza diritti civici) - furono sensibilmente mitigati dall'Atto di mediazione e, soprattutto, dalla Restaurazione (spedizioni punitive su Endingen e Lengnau nel 1802; divieto del commercio ambulante in Argovia nel 1803; legge argoviese sugli ebrei nel 1809). Solo alla fine della Rigenerazione, singoli cant. - Ginevra nel 1841 e Berna nel 1846 - fecero concessioni giur. agli ebrei (libertà di domicilio in territorio cant.), senza peraltro realizzarne la piena uguaglianza civile e politica.
Dal 1848 a oggi
Le forme e le finalità dell'atteggiamento antiebraico mutarono notevolmente con lo sviluppo delle società industriali. All'interno dei vari Stati europei cominciarono a sorgere dei veri e propri movimenti antisemiti quale espressione di disagio nei confronti delle trasformazioni delle strutture sociali e dei valori culturali. Tali gruppi si diffusero ben presto anche al di fuori dei confini nazionali; i loro propugnatori (Joseph-Arthur de Gobineau, Karl Eugen Dühring, Houston Stewart Chamberlain, Paul Anton de Lagarde) propagandarono su larga scala teorie pseudoscientifiche che furono accolte anche in Svizzera. La razza ebraica venne oltraggiata attraverso l'adozione di dottrine di stampo biologico, che la descrivevano come una razza inferiore che "giudaizzava", cioè rendeva malsana e "infetta", la nazione o la società. Questa immagine preconcetta e minacciosa trovò eco e diffusione fino ai nostri giorni attraverso il mito di una "cospirazione mondiale" ebraica.
I singoli Stati vissero lo sviluppo dell'antisemitismo in maniera diversa. In Francia l'affare Dreyfus (1893) ne provocò un temporaneo rigetto da parte delle forze liberali, mentre in Russia e nell'Europa orientale esso prese piede rapidamente. In Germania il Nazionalsocialismo associò il superamento delle crisi economiche e politiche alla "soluzione della questione ebraica": sul piano nazionale essa fu oggetto della politica dello Stato totalitario, mentre internazionalmente fu legata alla dottrina dello "spazio vitale" e quindi dell'espansione verso est.
La Svizzera fu confrontata a più riprese con opinioni e azioni antisemite, di carattere popolare o ufficiale. La Costituzione fed. del 1848 negò agli ebrei la parità dei diritti e la libertà di domicilio; quest'ultima fu concessa solo nel 1866 in seguito alle pressioni di Francia, Paesi Bassi e Stati Uniti. Bisognò attendere la revisione costituzionale del 1874 per veder realizzata la libertà di culto e solo nel 1879 gli ebrei dei com. argoviesi di Endingen e Lengnau ottennero la cittadinanza locale. Nel contempo, argomenti antisemiti si manifestarono nuovamente all'interno della realtà politica sviz.: innanzitutto nel dibattito sulla statalizzazione delle ferrovie cadute in fallimento e in seguito, ancora più chiaramente, nella questione della Macellazione rituale. Attraverso il divieto del 1893 di macellare secondo l'uso ebraico si tentò indirettamente di frenare l'immigrazione ebraica dall'Europa orientale. Dopo il 1900 i "difensori della patria" (Heimatwehren) della piccola borghesia e le élite della destra borghese ostentarono un antisemitismo di stampo xenofobo, mentre ambienti conservatori cristiani si servirono di pregiudizi antisemiti di carattere religioso per combattere la cultura e il modo di vivere moderni. Dopo la prima guerra mondiale le tendenze antisemite si svilupparono ulteriormente, emergendo occasionalmente in libelli, fogli ecclesiastici, volantini, motti elettorali e scritte murali.
Con il Frontismo degli anni '30, l'antisemitismo acquisì anche un profilo partitico. I tumulti e le azioni di propaganda secondo il modello nazista, le critiche alla democrazia parlamentare, la predilezione per il "principio del Führer" e la mistificazione delle "antiche virtù conf." si affiancarono a un discorso antisemita, cui si associarono propositi antiliberali e anticomunisti. Nonostante alcuni successi iniziali in elezioni locali (1934-36), i Fronti non riuscirono tuttavia a proseguire le loro azioni. Un successo parziale contro l'antisemitismo fu ottenuto dalla Federazione sviz. delle comunità isr., nel periodo 1933-37, in occasione del processo di Berna sui Protocolli dei savi di Sion (falso documentato di una presunta cospirazione ebraica mondiale). Le autorità fed. si rifiutarono tuttavia di prendere delle misure contro le offese di carattere razzista e antisemita. Al fine di "difendersi e illuminare", gli ebrei sviz. dovettero cercare altrove alleati affidabili, che finirono con il trovare in singoli esponenti cant., in forze di sinistra e in singoli personaggi negli ambienti liberali e umanitari. Anche all'interno delle Chiese cant., spec. fra i prot. liberali, tra le diverse autorità, nell'esercito e nei mezzi di comunicazione, diverse figure presero posizione contro l'antisemitismo, esprimendo nel contempo la loro ostilità verso il Terzo Reich.
Dopo il 1900 l'abbinamento fra i toni antigiudaici e la tesi di una Svizzera sovrappopolata emerse anche in documenti ufficiali, per esempio con l'apposizione del segno "J" di Jude, cioè "ebreo", sulle richieste di naturalizzazione di ebrei. Dal 1920 al 1936, a Zurigo, la procedura per l'ottenimento della cittadinanza prevedeva norme discriminatorie nei confronti degli ebrei che provenivano dall'Est. Negli anni '30 le naturalizzazioni di ebrei stranieri calarono vistosamente, e l'improvvisa emigrazione di ebrei sviz. oltreoceano è testimonianza del clima antiebraico del periodo. Sul piano fed., questa politica culminò nel 1941 nell'adozione di un numerus clausus segreto che, di fatto, rendeva impossibile la naturalizzazione di ebrei; nello stesso anno il governo sviz. esitò a concedere la piena protezione diplomatica agli ebrei sviz. presenti in Francia e in Italia.
Dal 1938 la Svizzera praticò nei confronti dei profughi una politica antisemita, acconsentendo alla stampigliatura dei passaporti di ebrei ted. con una "J". Nel 1942 il Consiglio fed. discriminò particolarmente i profughi ebrei negando loro l'asilo; il rifiuto di accogliere diverse migliaia di persone significò in molti casi la morte. Motivazioni antisemite giustificarono misure quali la prassi discriminatoria nei confronti dei bambini ebrei, che nella seconda guerra mondiale non poterono beneficiare come altri di soggiorni temporanei in Svizzera, o il rifiuto governativo (dall'ottobre 1938) di accogliere alla frontiera o rinaturalizzare ex cittadine sviz. di fede isr. sposate con stranieri; per questa politica il Consiglio fed. si è scusato ufficialmente nel 1995.
Dopo la seconda guerra mondiale, l'antisemitismo riaffiorò in Europa dapprima solo raramente. In seguito all'Olocausto esso fu definito l'ideologia e il movimento più feroce dell'intera storia umana e quindi venne discreditato. La fondazione dello Stato d'Israele e la genesi del Sionismo dimostrano che la politica antisemita non fu accettata supinamente da parte ebraica. Il genocidio degli ebrei (Olocausto, Shoah) fece sorgere in Svizzera nel 1946 la Comunità di lavoro cristiano-ebraica, che oltre a combattere l'antisemitismo, si fece promotrice soprattutto della comprensione reciproca fra le due religioni. Componenti antisemite sono comunque sopravvissute in maniera latente all'interno di diversi ambienti e movimenti. Dal 1967 (guerra arabo-israeliana dei Sei giorni) si è manifestato, sotto le sembianze dell'antisionismo, un antisemitismo di sinistra. Negli anni '90 l'antisemitismo è tornato a diffondersi in ambienti fondamentalisti e di estrema destra. A partire dalla fine della guerra fredda, le tendenze razziste e il tentativo di combatterle hanno acquistato maggiore importanza; in questo ambito un ruolo centrale è svolto dal revisionismo, che nega l'esistenza dei campi di sterminio. Nel 1995 è entrata in vigore in Svizzera una legge, accettata per via referendaria l'anno precedente, che applica la convenzione dell'ONU sulla soppressione di ogni forma di discriminazione razziale. La lotta contro l'antisemitismo è quindi divenuta un compito dello Stato.
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