Chiesa di San Zulian

edificio religioso italiano in Venezia

La chiesa di San Giuliano martire vulgo San Zulian è un luogo di culto cattolico di Venezia, situato nell'omonimo campo del sestiere di San Marco, non lontano dalla piazza omonima. Sino alla caduta della Repubblica era chiesa plebana officiata dal clero ducale. Venne probabilmente fondata prima del Mille ma venne ricostruita in più occasioni. Le attuali forme risalgono alla ricostruzione avvenuta nel XVI secolo su intervento progettuale di Jacopo Sansovino e sul sostegno economico di Tommaso Rangone. Oltre a contenere un ricco apparato di dipinti risalenti perlopiù ai secoli XVI e XVII, conserva anche le reliquie di San Germano Martire, San Floriano e Paolo di Tebe detto Paolo Eremita. Oggi è chiesa rettorale officiata quotidianamente ed è inserita tra le chiese della Comunità Marciana.

Chiesa di San Zulian
La facciata
StatoItalia (bandiera) Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Coordinate45°26′08.92″N 12°20′19.1″E
Religionecattolica
Titolaresan Giuliano
Patriarcato Venezia
Consacrazione1580 (8 luglio)
ArchitettoJacopo Sansovino e Alessandro Vittoria
Stile architettonicorinascimentale
Inizio costruzione832

Fondazione ed Età medievale

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La chiesa venne fondata probabilmente prima del XI secolo sulla scia delle devozione per i Santi orientali diffusa nella zona alto-adriatica: San Giuliano è intitolata al martire Giuliano che, con la moglie Basilissa, subì il martirio negli anni tra 302 e 304 nella Tebaide. La Cronaca del Doge Andrea Dandolo, scritta a metà del XIV secolo, pone la fondazione della chiesa all'anno 832 ma il primo documento certo sull'esistenza del luogo di culto risale al 1061. Nel 1205 un incendio devastante colpì Venezia, inghiottendo anche l'antica costruzione. Venne quindi riedificata: probabilmente si trattava dell'edificio a tre navate munito di campanile cuspidato riprodotto nella pianta del De' Barbari nel primo Cinquecento. Di lì a poco sarebbe mutato profondamente.

Clero ducale

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Agli inizi del XII secolo la chiesa risultava soggetta alla speciale giurisdizione della basilica di San Marco e del suo primicerio: era dunque separata dalla diocesi di Castello e, dopo il 1451, dal Patriarcato di Venezia. Solo nel 1804, con la soppressione della giurisdizione marciana e l'unione dei capitoli canonici di San Marco e San Pietro di Castello, la chiesa di San Zulian passò sotto l'autorità patriarcale. Ai primi anni del XV secolo, su iniziativa di Michele Steno e per interese di Innocenzo VII, il beneficio parrochiale si divise in sette capitolari: il Piovan, quattro preti di titolo, un diacono e un suddiacono.

La ricostruzione cinquecentesca

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La pianta della ricostruzione sansovinesca

A metà del Cinquecento la chiesa medievale minacciava rovina: fu la comparsa della straordinaria figura di medico ed erudito Tommaso Rangone da Ravenna (1493-1577) a mutarne totalmente le sorti. Nel 1553 il Rangone ottenne dal Senato della Repubblica di poter ricostruire a proprie spese la facciata, avendo però il privilegio di porvi il proprio monumento funebre. L'opera venne affidata a Jacopo Sansovino, ma in corso d'opera il tetto della vecchia chiesa crollò rovinosamente. Tra i sacrifici dei fedeli e del clero, del pievan Tommaso Rumoni, si aprì un grande cantiere che vedrà la ricostruzione dell'intero edificio di culto. Rangone contribuirà alla riedificazione con notevole spesa ottenendo in cambio la sepoltura al centro della nuova aula. La nuova chiesa venne consacrata l'8 luglio 1580 dal vescovo di Caorle Giulio Superchio. Grazie al lascito del segretario e legato Girolamo Vignola la chiesa ebbe concluso il soffitto.

 
Tommaso Rangone, opera di Jacopo Sansovino e Alessandro Vittoria.

Interventi successivi

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L'edificio fu oggetto di interventi anche nel Seicento, quando venne ricostruito l'altare maggiore. Nel 1775 si abbatté il vecchio campanile e si ricostruì assieme alle sacrestie laterali.

Descrizione

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Esterno

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La facciata

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La monumentale facciata stretta dall'antica edilizia residenziale veneziana.

La facciata è eccelsa opera realizzata da Jacopo Sansovino. Il monumento a Tommaso Rangone venne però concluso dopo la morte dell'artista fiorentino, portata a compimento nel 1570 da Alessandro Vittoria. Ai due lati del portale principale vi sono due iscrizioni, una in lingua greca e l'altra in ebraico, che celebrano il medico e filosofo ravennate Tommaso Rangone, che finanziò il rifacimento della facciata in cambio della sua trasformazione in un monumento a propria esaltazione. In particolare la scritta in lingua latina fornisce dati biografici e informazioni di natura giuridica, quella in greco vanta i meriti culturali dell'uomo e quella in ebraico ricorda la possibilità di realizzare sulla terra il progetto divino di vivere fino a 120 anni[1]. Sopra il portale Rangone si erge su un'urna funebre, in una straordinaria fusione bronzea, rivestito della toga dottorale mentre consegna ai posteri la sintesi del suo sapere avvolto in una complessa simbologia. Nella mano destra, invece della penna, tiene i rimedi del Nuovo Mondo: la sottile e lunga radice con il viticcio della salsapariglia ed il ramo con le foglie lanceolate del guaiaco. Ricordiamo che Rangone doveva la sua fortuna anche economica alla cura della sifilide nel secolo della prima virulenta diffusione.

Interno

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L'interno dell'edificio si presenta ad una sola navata, pressoché quadrata, con il presbiterio rettangolare coperto da una volta a crociera, affiancato da due piccole cappelle.

Cappella maggiore

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La pala dell'Altar maggiore, Incoronazione della Vergine tra i Santi, Giuliano, Floriano e Paolo di Tebe, opera firmata di Girolamo Santacroce.

La cappella maggiore è illuminata da un grande finestrone termale che innonda di luce il breve spazio del presbiterio. Appena sotto il finestrone si innalza la grande macchina dell'Altare maggiore, opera di metà Seicento, riferibile al lavoro di Giuseppe Sardi. L'ancona ospita la bella tavola di Girolamo Santacroce Incoronazione delle Vergine tra i Santi Giuliano, Floriano e Paolo di Tebe, opera firmata. La pala, proveniente dalla chiesa medievale, è documentata già nel 1544. Sotto il dipinto cinquecentesco si trova l'urna dove sono deposte le reliquie - già composte in un manichino - di San Paolo di Tebe. Parte della rifabbrica dell'altare fu sostenuta dalla confraternita dei produttori di pettini, dei peteneri, e la cosa viene ricordata anche sul coperchio dorato che chiude l'urna del Santo: «San Paolo primo eremita protector de peteneri 1667». Il santo era protettore anche dei produttori di fanali, i feraleri. Sotto la mensa sono deposte le reliquie di San Germano martire, provenienti dalle catacombe romane. Entro le due edicole, le due belle statue lignee dei Santi Antonio e Francesco, opere policrome del Seicento.

 
Antonio Zanchi, Martirio di San Giuliano.

Ai lati del presbiterio scorrono splendidi stalli in radica di noce, opere del primo Settecento. Sopra gli stalli due grandi teleri (1674) di Antonio Zanchi, suggestivi per l'impostazione e la monumentalità delle figure: a destra Martirio di San Giuliano, a sinistra Passione di San Giliano e dei suoi sodali. Grandiosa la figura del carnefice sul telero di destra, dove, all'interno di un tondo, è raffigurato il Pievan offerente.

Sui pennacchi dell'arcone, verso la navata, Annunciazione di Jacopo Palma il Giovane.

Cappella del Santissimo Sacramento

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Lo spazio, contenuto, compiuto tra il 1578 e il 1583, venne curato per evergetismo della Confraternita del Santissimo. L'altare, compiuto su disegno di Giovanni Antonio Rusconi, è imprezziosito dal complesso plastico di Girolamo Campagna, una straordinaria Deposizione. La piccola raffigurazione del Padre Eterno sulla cima del gruppo completa il sistema iconografico: «consummatum est». Ai lati dell'altare opere pittoriche a richiamo eucaristico: a sinistra la Cattura di Cristo di Jacopo Palma il Giovane; a destra, in alto, lunetta raffigurante la Caduta della manna di Leonardo Corona, in basso Ultima cena di Paolo Veronese (con interventi di bottega). La volta della cappella è decorata a stucco da Ottaviano Ridolfi.

Cappella Negroni

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La cappella è dedicata a San Giovanni Evangelista e San Carlo Borromeo. La visita pastorale del Patriarca Priuli del 1593 la trovò concessa a Giuseppe Negroni che la tenne in cura adornandola. Suo lo stemma presente sulla chiave del voltone. Nella visita del Patriarca Vendramin del 1610 venne trovata "magnificamente" ornata. Risulta decorata dalle storie del Borromeo, al tempo da poco assurto agli altari: a destra San Carlo Borromeo libera un ossess della maniera del Palma il Giovane o del Vicentino; a sinistra Attentato a San Carlo Borrome attribuito a Odoardo Fialetti. Nel 1612 giunsero alcune reliquie del santo milanese, venerato contro pestifero morbo, e vennero accolte dalla Confraternita che intanto si era installata intorno all'altare. Sull'ancona, pala di Jacopo Palma il Giovane raffigurante San Giovanni Evangelista tra San Giuseppe e Sant'Antonio abate. Sul tondo devozionale, opera di Giovanni Battista Giacomello, San Gaetano da Thiene.

All'interno di San Giuliano il tono fondamentale della decorazione che ricopre pareti e soffitto è dato da opere del decennio successivo alla consacrazione, avvenuta nel 1580.

Si possono individuare tre percorsi fondamentali:

  1. ciclo cristologico che circonda l'aula nel suo registro superiore.
  2. otto figure allegoriche attorno al soffitto scandiscono la riflessione sulla Passione di Cristo e circondano il trionfo di san Giuliano, posto al centro del soffitto a conclusione del ciclo di san Giuliano
  3. a questi due cicli si devono aggiungere le testimonianze della comunità, delle varie Arti, delle Confraternite e Scuole di devozione che si sono espresse negli altari laterali.

Gli altari sono in tutto sette: notevole è la pala del monumentale altare maggiore (opera di Giuseppe Sardi), con una Incoronazione della Vergine e santi firmata da Gerolamo Santacroce.

L'organo

L'organo in una cantoria sulla contro-facciata fu costruito da Gaetano Callido. Risale dal 1764 Op.12.

  1. ^ "La facciata della Chiesa di San Zulian" in Venezia insolita e segreta di Thomas Jonglez e Paola Zoffoli, Jonglez editore, 2014, pag. 57.

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