Cittadinanza ateniese
Aristotele, secondo John Greville Agard Pocock, ha suggerito che gli antichi Greci pensavano che essere un cittadino era uno stato naturale ed era ciò che determinava anche la cittadinanza ateniese.[1] Era una nozione elitaria, secondo Peter Riesenberg, in cui anche le comunità di piccole dimensioni avevano idee generalmente simili di come le persone avrebbero dovuto comportarsi nella società e ciò che costituiva condotta appropriata.[1] E i pensatori moderni, così, concordano sul fatto che la storia della cittadinanza è complessa, con nessuna singola predominante definizione.[2] Geoffrey Hosking ha descritto una possibile logica ateniese che portava alla democrazia partecipativa:
«If you've got a lot of soldiers of rather modest means, and you want them to enthusiastically participate in war, then you've got to have a political and economic system which doesn't allow too many of them to fall into debt, because debt ultimately means slavery, and slaves cannot fight in the army. And it needs a political system which gives them a say on matters that concern their lives.»
«Se hai un sacco di soldati di mezzi piuttosto modesti, e desideri che partecipino con entusiasmo alla guerra, allora devi avere un sistema politico ed economico che non obblighi troppi di loro a doversi indebitare, perché il debito significa in ultima analisi schiavitù, e gli schiavi non possono combattere nell'esercito. Hai bisogno di un sistema politico che dia loro voce sulle questioni che riguardano la loro vita.»
Funzionava male. Di conseguenza, la costituzione aristocratica ateniese originale divenne via via più inadeguata, e lasciò il posto a un accordo più inclusivo.[3] Agli inizi del VI secolo aC, il riformatore Solone annullò tutti i debiti che gravavano sui terreni, e permise a tutti i maschi ateniesi liberi di partecipare all'assemblea dell'Ecclesia.[3] Inoltre, incoraggiò gli artigiani stranieri, particolarmente qualificati nella produzione della ceramica, a stabilirsi ad Atene offrendo loro, come incentivo, la cittadinanza per naturalizzazione.[4]
Solone prevedeva che gli ateniesi aristocratici avrebbero continuato a partecipare agli affari correnti, ma comunque i cittadini avrebbero avuto una "voce politica in Assemblea."[4]
Riformatori successivi indirizzarono Atene ancora di più verso la democrazia diretta. Il riformatore greco Clistene, nel 508 a.C. riorganizzò la società ateniese su basi di gruppi di famiglie in stile, fratrie, le aree per grandi strutture miste che combinano le persone provenienti da diversi tipi di zone geografiche: località costiere e città, periferie e pianure, nello stesso gruppo.[3][5] Clistene abolì le tribù "ridistribuendo la loro identità in modo radicale" così cessarono di esistere.[3] Il risultato fu che agricoltori, marinai e pastori vennero riuniti nella stessa unità politica, diminuendo i legami di parentela come base della cittadinanza.[6] In questo senso, la cittadinanza ateniese andrò oltre le obbligazioni di base, come i legami di famiglia, discendenza, religione, razza o appartenenza tribale, andando verso l'idea di uno stato civico multietnico costruito su principi democratici.
«Cleisthenes took democracy to the masses in a way that Solon didn't. ... Cleisthenes gave these same people the opportunity to participate in a political system in which all citizens—noble and non-noble—were in theory equal, and regardless of where they lived in Attica, could take part in some form of state administration.»
«Clistene portò la democrazia alle masse in un modo che Solone non aveva fatto. ... Clistene diede a queste persone la possibilità di partecipare a un sistema politico in cui tutti i cittadini, nobili e non nobili, erano in teoria uguali e indipendentemente da dove vivevano in Attica, potevano partecipare ad una qualche forma di amministrazione statale.»
Secondo Feliks Gross, un accordo del genere poteva avere successo se persone di diversa provenienza avevano la possibilità di formare associazioni costruttive.[7] La pratica ateniese del ostracismo, in cui i cittadini potevano votare in forma anonima affinché un concittadino potesse essere espulso da Atene per un massimo di dieci anni, era come un modo per rimuovere preventivamente una possibile minaccia per lo Stato, senza dover passare attraverso un procedimento giudiziario.[3] Essa era intesa per promuovere l'armonia interna.
La cittadinanza ateniese era basata sugli obblighi dei cittadini nei confronti della comunità, piuttosto che su diritti concessi ai suoi membri. Questo non era un problema perché la gente aveva una forte affinità con le polis; il loro destino personale e il destino di tutta la comunità erano fortemente collegati. Inoltre, i cittadini della polis vedevano gli obblighi verso la comunità, come la possibilità di essere virtuosi. Era una fonte di onore e rispetto.[3] Secondo un punto di vista, la cittadinanza era essere "padroni di se stessi"..[8] La gente era sovrana; non vi era alcuna sovranità al di fuori del popolo stesso.[8] Ad Atene, i cittadini erano sia governanti che governati. Inoltre, importanti cariche politiche e giudiziarie venivano assegnate a rotazione per ampliare la partecipazione e prevenire la corruzione, e tutti i cittadini avevano il diritto di parola e di voto nell'assemblea politica. Pocock ha spiegato:
«... what makes the citizen the highest order of being is his capacity to rule, and it follows that rule over one's equal is possible only where one's equal rules over one. Therefore the citizen rules and is ruled; citizens join each other in making decisions where each decider respects the authority of the others, and all join in obeying the decisions (now known as "laws") they have made.»
«... ciò che rende il cittadino più orgoglioso di essere è la sua capacità di governare, e ne consegue che regnare sul proprio uguale è possibile solo dove le proprie regole sono uguali a quelle degli altri. Pertanto, cittadino che governa ed è governato; i cittadini si uniscono tra di loro nel processo decisionale in cui ogni decisore rispetta l'autorità degli altri, e tutti si uniscono in essa obbedendo alle decisioni (ora conosciute come "leggi") che hanno redatto.»
La concezione ateniese era che "le leggi dovevano governare tutti", nel senso di uguaglianza assoluta ai sensi della legge o il termine greco isonomia.[3] I cittadini avevano alcuni diritti e doveri: i diritti comprendevano la possibilità di parlare e votare nell'assemblea comune,[8] candidarsi a funzioni pubbliche, come giurati, essere protetti dalla legge, possedere la terra, e partecipare al culto pubblico; avevano però l'obbligo di rispettare la legge, e di servire nelle forze armate che poteva essere "costoso" in termini di acquisto delle armi o nel rischiare la propria vita, secondo Hosking.[3]
«This balance of participation, obligations and rights constituted the essence of citizenship, together with the feeling that there was a common interest which imposed its obligations on everyone.»
«Questo equilibrio di partecipazione, fra obblighi e diritti, costituiva l'essenza della cittadinanza, insieme con la sensazione che ci fosse un interesse comune che imponeva gli obblighi a tutti.»
Hosking ha notato che la cittadinanza era "relativamente difficile da ottenere" in quanto escludeva tutte le donne, tutti i minori, tutti gli schiavi, tutti gli immigrati, e la maggior parte dei coloniali, cioè, i cittadini che avevano lasciato la propria città per trasferirsi ad Atena, che di solito avevano perso i diritti di cittadinanza della loro città-stato di origine.[3] Molti storici sostengono che questa esclusività era una debolezza nella società ateniese, ad esempio secondo Hosking, ma egli ha osservato che c'erano forse 50 000 cittadini ateniesi globali, e che al massimo, un decimo di questi non aveva mai preso parte a un'assemblea in qualsiasi momento.[3] Hosking ha sostenuto che se la cittadinanza fosse stata diffusa più ampiamente, avrebbe peggiorato la solidarietà[3] Pocock esprime un sentimento simile e ha osservato che la cittadinanza richiede una certa distanza dalla fatica della vita quotidiana.[9] I maschi greci risolsero questo problema in qualche modo con la sottomissione delle donne, così come con l'istituzione della schiavitù che liberò i loro orari in modo da poter partecipare all'assemblea. Pocock si chiedeva: la cittadinanza era necessaria per evitare che le persone libere diventassero "troppo coinvolte nel mondo delle cose"?[9] Oppure, poteva essere estesa alle persone della classe operaia, e se sì, che cosa avrebbe significato questo per la natura della cittadinanza stessa?[9]
Note
modifica- ^ a b Derek Heater, A Brief History of Citizenship, New York City, New York University Press, 2004, p. 157, ISBN 0-8147-3671-8.
- ^ Dora Kostakopoulou, The Future Governance of Citizenship, United States and Canada, Cambridge University Press, 1994, pp. 13, 195 "The Cartography of Citizenship", and "Conclusion".
- ^ a b c d e f g h i j k l m Geoffrey Hosking, Epochs of European Civilization: Antiquity to Renaissance, Lecture 3: Ancient Greece, United Kingdom, The Modern Scholar via Recorded Books, 2005, pp. 1, 2 (tracks), ISBN 1-4025-8360-5.
- ^ a b c The Long Shadow of the Ancient Greek World, professor Ian Worthington, U. Missouri-Columbia, Part 1 of 4, The Teaching Company, ISBN 1-59803-544-4, 2009, vedere pages 72, 155 dell'indice
- ^ J.V. Fine, The Ancient Greeks: A Critical History
- ^ Fine, John V.A. The Ancient Greeks: A critical history (Harvard University Press, 1983). ISBN 0-674-03314-0.
- ^ Feliks Gross, Citizenship and ethnicity: the growth and development of a democratic multiethnic institution, Westport, Connecticut, Greenwood Press, 1999, pp. xi, xii, xiii,4, ISBN 0-313-30932-9.
- ^ a b c Engin F. Isin (co-editor), Bryan S. Turner (co-editor), Handbook of Citizenship Studies, Chapter 5—David Burchell—Ancient Citizenship and its Inheritors; Chapter 6—Rogers M. Smith—Modern Citizenship, London, Sage, 2002, pp. 89–104, 105, ISBN 0-7619-6858-X.
- ^ a b c Pocock, 1998, p. 34