Giovanni Giusti del Giardino

nobile e ufficiale italiano

Giovanni Giusti del Giardino (Padova, 17 marzo 1877Verona, 23 febbraio 1932[1]) è stato un ufficiale italiano della prima guerra mondiale.

Biografia

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Proveniente da una famiglia di antica nobiltà toscana, passata a Verona al servizio di Cangrande I della Scala nel XIV secolo, seguì la carriera militare.

Capitano aiutante maggiore del 4º Reggimento "Genova Cavalleria", si distinse durante la settima battaglia dell'Isonzo, ricevendo la medaglia di bronzo al valor militare sulla "quota 144". L'estate successiva, dietro sua richiesta, passò al 152º Reggimento fanteria "Sassari" come tenente colonnello[2].

Dopo aver combattuto sul monte Valbella, dove restò ferito, prese parte alla battaglia del solstizio lungo il fronte del Piave. Il 16 giugno, nel tentativo di liberare l'abitato di Croce, fu ferito e fatto prigioniero[2].

Al termine del conflitto, fu posto alla testa del Reggimento "Closca", formato da ex prigionieri di guerra rumeni, e lo accompagnò in patria. Nel marzo 1920 lasciò l'esercito[2].

Più tardi fu vicepodestà di Verona, dove morì nel 1932.

Sposato alla Eleonora Albertini, anch'ella nobile di Verona, era il padre del capitano Francesco Giusti del Giardino, comandante il 1º squadrone autoblindo del Reggimento Cavalleggeri di Lodi, caduto in combattimento sulla linea del Mareth, il 25 novembre 1942. Il fratello maggiore, ing. Francesco Giusti del Giardino, fu senatore del regno e fondatore della prima industria italiana di automobili, nel 1894. Il cugino del padre, Vettor Giusti del Giardino fu pure senatore.

Onorificenze

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«Nei momenti più critici del combattimento, con sangue freddo e ardimento singolari, percorreva più volte zone fortemente battute dai tiri dell'artiglieria nemica per mantenere i collegamenti e i rifornimenti che venivano spesso interrotti da violenti tiri d'interdizione, e rendeva così possibile il mantenimento della contrastata posizione.»
— Monfalcone, 14-16 settembre 1916
«Durante un violento contrattacco sferrato dal reggimento su di un fianco del nemico, con serena calma ed intelligente capacità, impartiva gli ordini al proprio battaglione, trascinandolo poi con il fascino personale nell'arduo cimento della lotta- Portatosi ove più cruenta era la mischia ed accerchiato, con un vigoroso corpo a corpo insieme a pochi uomini infrangeva il ferreo cerchio, catturando ben 120 avversari. Per tutta la giornata continuava nell'impari combattimento, fino a che, esausto di forze, venne sopraffatto. Esempio mirabile d'indomita fede e di alto sentimento del dovere.»
— Croce (Piave), 16 giugno 1918
  1. ^ Rivista del Collegio Araldico, vol. 30, Roma, Collegio Araldico Romano, 1932, p. 142.
  2. ^ a b c Lucangelo Bracci Testasecca, Lucangelo Bracci Testasecca. Nel suo diario di guerra e nel ricordo degli amici, Montepulciano, Le Balze, 2002, p. 39, ISBN 88-87187-75-4.

Bibliografia

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  • Alba Bozzo, La battaglia del Solstizio, Edizioni del Comune di Fossalta, 1978

Voci correlate

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