Identità personale
Per identità personale in filosofia s'intende la capacità dell'individuo di avere consapevolezza del permanere costante del suo io che si manterrebbe sostanzialmente identico attraverso il tempo e le diverse e varie esperienze che hanno segnato la sua vita fino al momento presente.
Locke
modificaIl problema dell'identità nel senso del mantenimento delle caratteristiche fondamentali dell'individuo era stato risolto dalla filosofia antica, e in particolare da Aristotele, con la teoria di una sostanza-sostrato (hypokeimenon) che si manteneva identica a se stessa anche se variavano i suoi molteplici e mutevoli attributi.
Nell'età di John Locke (1632–1704) entra in crisi la vecchia idea della sostanza aristotelica che continuava ad essere presente nella concezione metafisica e religiosa dell'anima che permetteva di dare una caratteristica unitaria e trascendente ad un io contingente e di mantenere, nello stesso tempo, la permanenza della sua identità personale nel susseguirsi del tempo.
Tuttavia, queste concezioni non verranno superate del tutto con l'avvento dell'empirismo moderno, il quale negherà che si possa pretendere di conoscere la sostanza come una cosa in sé quando in realtà noi possiamo avere dell'oggetto soltanto le sue rappresentazioni in base alle nostre sensazioni, bensì riserve rimarranno in merito alla possibilità di conoscere con certezza l'"io".
Locke, quindi, per primo metterà in discussione l'esistenza della sostanza materiale (ma non la sua qualità di "idea complessa"), rivelando come essa non fosse stato che un tentativo di risolvere il problema di rendere unitaria la molteplice realtà.
«Lo spirito, come ho dichiarato, è fornito di un gran numero di idee semplici, portate in esso nei sensi, cosí come sono trovate nelle cose esterne, o dalla riflessione sulle proprie operazioni; ma esso prende nota anche che un certo numero di queste idee semplici vanno costantemente insieme, e, poiché si presume che esse appartengano a un'unica cosa, e le parole sono adatte alle nostre apprensioni comuni e vengono usate per una rapida comunicazione, quelle idee semplici, cosí unite in un unico soggetto, sono chiamate con un unico nome. Ma poi, per disattenzione, siamo portati a parlare di quelle cose come di un'unica idea semplice e a considerarle un'unica idea semplice, mentre in realtà si tratta di una mescolanza di molte idee insieme. Per cui, come ho detto, non immaginando in che modo queste idee semplici possono sussistere di per sé, ci siamo abituati a supporre un qualche substratum [supporto] nel quale esse di fatto sussistano e dal quale risultino, e che, perciò, chiamiamo sostanza.[1]»
Sulla base di questo dualismo gnoseologico, per cui il soggetto conoscente avrà semplicemente la rappresentazione fenomenica e sensibile dell'oggetto conosciuto, Locke nega possa sussistere una sostanza che accompagni, mantenendone l'identità, le varie fasi di esistenza di un oggetto, ma non del soggetto conoscente. Per Locke, pur non essendo possibile la conoscenza di una "sostanza o essere spirituali" - allo stesso modo di quelli materiali - è tuttavia certa la nostra esistenza in quanto "spirito". Riprendendo il noto argomento cartesiano, Locke, nella sua teoria della conoscenza, sostiene che "abbiamo la conoscenza della nostra propria esistenza per intuizione; dell'esistenza di Dio per dimostrazione e delle altre cose per sensazione".[2] Va ricordato che, per il filosofo inglese, "L'esperienza ci convince che abbiamo una conoscenza intuitiva della nostra propria esistenza e una percezione interna infallibile che noi esistiamo. In ogni atto di sensazione, ragionamento o pensiero, noi siamo consci di fronte a noi stessi del nostro proprio essere e su questo punto non manchiamo del più alto grado di certezza".[3]
Innanzitutto, dice Locke, bisogna distinguere i concetti di uomo e persona, apparentemente sinonimi ma invero molto diversi: per uomo si può intendere un corpo materiale vivente strutturato dove si evidenzia la «partecipazione alla stessa vita continua di particelle sempre fuggevoli di materia, unite allo stesso corpo organizzato in una successione vitale.»[4] È dunque questa costituzione materiale vivente che caratterizza l'uomo e non più la sua essenza razionale: «Chiunque infatti veda una creatura fatta come lui, anche se in tutta la sua vita non avesse più raziocinio di un gatto o di un pappagallo, lo chiamerebbe ancora uomo; e chiunque sentisse un gatto od un pappagallo discorrere, ragionare, filosofare, lo chiamerebbe tuttavia e lo considererebbe null'altro che un gatto o un pappagallo»[5]
La persona invece è nell'uomo quando egli sia in grado tramite la coscienza e la memoria di credere nella sua identità tale da differenziarsi da tutti gli altri così che «fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l'identità di quella persona»[6] Ma per mantenere viva questa memoria di noi stessi, aggiunge Locke, dobbiamo continuamente riportare alla primitiva nitidezza quelle idee che si sono sbiadite col passare del tempo. È un continuo lavoro di manutenzione della nostra memoria che ci assicura la nostra identità che inevitabilmente si annebbia con la perdita del ricordo delle nostre esperienze passate.
Non è possibile neppure sostituire alla presunta potenzialità unificatrice della sostanza quella data dalle operazioni, come pensare, ragionare, temere ecc. di una qualche altra sostanza che chiamiamo spirito:
«Perciò è tuttavia evidente che non avendo nessun'altra idea o nozione di materia, se non come qualcosa in cui tutte quelle molte qualità sensibili che colpiscono i nostri sensi sussistono, supponendo che ci sia una sostanza della quale sussistono il pensare, il conoscere, il dubitare e il potere di muovere le cose ecc., abbiamo della sostanza dello spirito una nozione altrettanto chiara quanto è quella che abbiamo del corpo. Dell'una si suppone che sia, pur senza conoscere che cosa sia, il substratum delle idee semplici che riceviamo dall'esterno, dell'altra si suppone che sia, con un'analoga ignoranza di ciò che essa è, il substratum delle operazioni che sperimentiamo dentro noi stessi. È evidente allora che l'idea di sostanza corporea nell'ambito della materia è altrettanto remota dai nostri pensieri e dalle nostre comprensioni, quanto quella di sostanza spirituale o spirito. Perciò, a partire dal fatto che non abbiamo nessuna nozione della sostanza dello spirito, non possiamo concludere che esso non esiste, più di quanto possiamo concludere che non esiste il corpo per la medesima ragione: infatti è altrettanto ragionevole affermare che non c'è nessun corpo, perché non abbiamo nessuna idea chiara e distinta della sostanza della materia, quanto lo è il dire che non c'è nessuno spirito, perché non abbiamo nessuna idea chiara e distinta della sostanza di uno spirito[5].»
Hume
modificaL'elemento della memoria per la percezione dell'identità personale, secondo David Hume (1711–1776) , è ampiamente insufficiente: «Chi può dirmi che cosa pensava e faceva il 1º gennaio 1715, l'11 marzo e il 3 agosto del 1733?».[7] Ma a parte la difficoltà di mantenere una memoria del passato che sia priva di falle e amnesie, Hume sostiene che ogniqualvolta riflettiamo sulla nostra identità personale ci troviamo di fronte a una serie di percezioni che ci appartengono ma tra le quali non possiamo mai isolare quella distinta percezione del nostro io: «Non riesco mai a sorprendere me stesso senza percezione e a cogliervi altro che percezione»[8]. La ragione che giunge al sapere sulla base delle percezioni nel caso della conoscenza dell'io si trova di fronte al vuoto, l'idea dell'io è un feticcio che costruiamo per poter credere in un'immagine di noi stessi ma in realtà le nostre impressioni ed idee[9] sono instabili e mutevoli: pensare sia possibile avere un'idea permanente del nostro io è un'illusione: «Noi non siamo altro che fasci o collezione di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità con un perpetuo flusso e movimento»[10][11] Ma la ragione, che non è quindi in grado di darci un riferimento sicuro e costante del nostro io, viene superata da quelle passioni e sentimenti che si sviluppano nella vita sociale, nei nostri rapporti con gli altri: a questo punto infatti interviene l'immaginazione che, per una specie di "inclinazione naturale", in quella serie di percezioni isolate che riaffiorano nel nostro lacunoso ricordo, stabilisce, sulla base dei principi di somiglianza e di causalità, una relazione costante tale che la memoria «non soltanto scopre l'identità, ma contribuisce anche alla sua produzione, producendo fra le percezioni il rapporto di somiglianza»[12] e quello di causa-effetto tra le impressioni e le nostre idee.
Ai fini della identità personale occorre quindi un collegamento tra la memoria del passato, che collega le percezioni tramite la somiglianza e la causalità, e l'immaginazione che le unifica e in più estende la nozione del nostro io nel futuro.
Note
modifica- ^ J.Locke, Saggio sull'intelletto umano, II, cap.XXIII, 1-2, 4-5
- ^ J. Locke Saggio sull'intelletto umano, UTET Torino, 1971, pag.706.
- ^ J. Locke Saggio sull'intelletto umano, UTET Torino, 1971, pag. 707.
- ^ John Locke, Saggio sull'intelletto umano, trad.it. di M. e N. Abbagnano, Utet Torino, 1971, libro secondo, capitolo XXVII, "Identità e diversità".
- ^ a b Op. cit. ibidem
- ^ Op. cit. cap.XXVII
- ^ D. Hume, A treatise of human nature, London 1738, I, pag.455, trad it. :Trattato sulla natura umana, Libro I, parte IV, sezione VI, Editrice Laterza 1971.
- ^ D.Hume, op. cit 1.4.6
- ^ Tutte le percezioni umane si dividono per Hume in impressioni e idee. Le prime esprimono nell'intensità dell'attualità le sensazioni, passioni ed emozioni che proviamo sul momento quando vediamo, ascoltiamo, desideriamo, ecc. Le seconde, invece, sono le copie sbiadite nella nostra mente delle impressioni. Per es. il dolore provocato da una ferita è una impressione mentre l'idea corrispondente è il ricordo di quel dolore. Ogni idea nasce dalla sua corrispondente impressione e non è possibile avere idee se non quelle originate dalle impressioni. (Cfr. Sofia Vanni Rovighi, Filosofia della conoscenza, Edizioni Studio Domenicano, 2007 p.152)
- ^ D.Hume, Appendice al Treatise, libro I (Sull'intelletto) trad. di Vittorio Possenti, Il nuovo principio persona, Armando Editore, 2013 p.45
- ^ Più aderente al testo originale la traduzione di A. Carlini: "Noi non siamo altro che un fascio o collezione di differenti percezioni, che si succedono l'una all'altra con una inconcepibile rapidità, e sono in un perpetuo flusso e movimento", Hume-Opere Laterza Bari, 1971. "... nothing but a bundle or collection of different perceptions, which succeed each other with inconceivable rapidity, and are in a perpetual flux and movement", D. Hume A Treatise of Human Nature, Book I, part IV, section 6.
- ^ D.Hume, op. cit.
Bibliografia
modifica- Antonio Allegra, Dopo l'anima. Locke e la discussione sull'identità personale alle origini del pensiero moderno, Roma, Studium (La Dialettica), 2005.
- Remo Bodei, Destini personali: l'età della colonizzazione delle coscienze, Milano, Feltrinelli, 2002.
- Stefano Caroti e Mariafranca Spallanzani (a cura di), Individuazione, individualità, identità personale: la ragione del singolo, Firenze, Le Lettere, 2014.
- Michele di Francesco, L'io e i suoi sé : identità personale e scienza della mente, Milano, Cortina, 1998.
Voci correlate
modificaCollegamenti esterni
modifica- (EN) Eric T. Olson, Personal Identity, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford.
- (EN) Jessica Gordon-Roth, Locke on Personal Identity, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford.
- (EN) Carsten Korfmacher, Personal Identity, su Internet Encyclopedia of Philosophy.