Una mechanè (mēkhanē) era una sorta di gru usata nel teatro greco, in particolare nel V e IV secolo a.C. Composto da bracci di legno e da un sistema di pulegge, questo marchingegno teatrale era usato per sollevare in aria gli attori, simulandone il volo. Era sicuramente in grado di sollevare almeno due persone e trasportarle nel mezzo dell'orchestra, oppure sopra la skené.

Proprio per questo motivo, la mechanè era spesso usata per simulare l'intervento di un dio sulla scena, da cui l'espressione latina Deus ex machina ("Dio dalla macchina"). L'uso fatto da Euripide della mechanè nella Medea, nel 431 a.C., è un notevole esempio dell'uso di questo marchingegno da parte di un personaggio non divino. Veniva impiegata spesso anche da Eschilo[1].

Il commediografo Aristofane nelle sue opere prese talvolta in giro questo marchingegno, per il suo effetto considerato poco realistico.[2]

  1. ^ Sappiamo con certezza che la mechanè era utilizzata ai tempi di Eschilo: da un passo dell'Onomastikon di Giulio Polluce (IV 130) si ricorda una tragedia perduta di Eschilo, la Psukhostasia, nella quale Eos porta in volo il figlio Memnone, morto. Anche nel Prometeo incatenato Oceano si libra in volo su un uccello su Prometeo e, dopo avergli parlato, se ne va via sempre in volo. Cfr. Vincenzo Di Benedetto ed Enrico Medda. Il teatro antico in La storia del teatro. Einaudi, Torino 1991, p. 20 e ss.
  2. ^ La pace (vv. 135 e ss.), Gli uccelli (vv. 1196 e ss.), Le donne alle Tesmoforie (vv. 1098-1134).

Bibliografia

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  • Vincenzo Di Benedetto e Enrico Medda, La tragedia sulla scena, Einaudi, 2002, pp. 19-22, ISBN 978-88-06-16379-2.

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