Neera

scrittrice italiana

Neera, pseudonimo di Anna Zuccari (1846 – 1918), scrittrice italiana.

Neera

Citazioni di Neera

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  • Possiamo anche paragonare la vita ad un rosario; solo dopo un gran numero di pallottole piccine, c'è la pallottola grossa; e nel comune della vita le pallottole grosse, sono anche più lontane che nei rosari.
    Curiamo dunque i numerosi pochi che devono formare il nostro tutto; e lungi dallo sdegnare le soddisfazioni piccine, moltiplichiamole intorno a noi.
    Saverio de Maistre, rinchiuso forzatamente nella sua camera, trovava un vero piacere ascoltando il rumore della caffettiera appoggiata sugli alari del caminetto, mentre egli dalla poltrona, seguiva i voli fervidi della fantasia che gli facevano percorrere il più piacevole dei viaggi.[1]
  • Quando qualcuno vuol sapere gli studi preparatori che feci per scrivere la trentina di volumi da me pubblicati, rispondo: calze e camicie.[2]

Il secolo galante

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  • [...] quella celebre madama di Tencin, prima monaca, poi degna amica del cardinale Dubois, intrigante pinzocchera e dissoluta sempre. (Madamigella Aïssé, p. 56)
  • Si, madamigella Aïssé era ingenua: lo era ad onta di tutto. Aveva quella vera ingenuità che proviene da un cuore sensibile e da un rispetto innato per la virtù. (Madamigella Aïssé, p. 58)
  • Tutto ciò che [madamigella Aïssé] vedeva intorno a lei la feriva senza macchiarla. Giudicava forse che non si potesse cambiare uno stato di cose al quale tutti si adattavano con tanta compiacenza, ma per suo conto ne soffriva, e questa impressionabilità morale, dato i tempi ed i luoghi, può servire di pietra paragone per quello che sarebbe stata la sua coscienza diversamente illuminata. (Madamigella Aïssé, p. 58)
  • Inneggiare una verità quando è già riconosciuta da tutti e che la si respira, sto per dire, coll'aria, non è una grande prova in favore dell'anima; sentirla, intuirla fra le tenebre e l'errore, ecco ciò che è bello, ed ecco la nota caratteristica della povera schiava [Charlotte Aïssé][3], che un gioco del destino aveva balzato dalla semplice culla nativa nel mondo più stolidamente e più ciecamente corrotto, di una corruzione senza grandezza, che a lei, per atavismo di razza, doveva apparire anche più meschina. (Madamigella Aïssé, pp. 58-59)
  • [Madamigella Lespinasse] [...] era un'anima ardente, aperta all'entusiasmo di ogni cosa bella: Marmontel[4] la definisce uno strano miscuglio di ragione, di saggezza, di compostezza unite alla testa più viva ed alla immaginazione più infiammabile che abbiano esistito da Saffo in poi. (Madamigella Lespinasse, p. 85)
  • Era bella la Lespinasse? Questa domanda che il lettore fa sempre quando si tratta di una donna, si impone particolarmente nel caso attuale. No, non era bella. La grazia, la distinzione, una grande nobiltà nella figura, nel portamento e nel contegno risultano le soli doti esterne che aiutassero il fascino particolare del suo spirito. (Madamigella Lespinasse, p. 96)
  • I suoi biografi non sanno dirci dove nacque Maria di Vichy; forse al castello di Chamrond in Borgogna, proprietà della sua famiglia, intorno al 1697, forse a Lione. Maritata a ventun anno col marchese Du Deffant senza molto entusiasmo e senza un grande interesse né da una parte né dall'altra, presentata a Corte nel periodo più licenzioso della Reggenza, la sua vita fu quella della maggior parte delle giovani donne d'allora: galanteria, giuoco, cene e poi ancora galanteria. (La marchesa Du Deffant, pp.123-124)
  • [Maria di Vichy] Chi la sollevò, in un certo qual modo, risvegliando la parte migliore della sua intelligenza, che era viva ed aperta, fu il presidente Hénault[5], storico e letterato, che godeva allora molta fama. Avendolo incontrato nelle sale della duchessa del Maine, dove ella teneva il posto di dama d'onore, capì che quella poteva essere per lei una amicizia preziosa e la coltivò e se ne fece sgabello per passare dal mondo della galanteria ad un altro mondo un po' più serio, non troppo s'intende, quale appunto poteva convenire ad una donnina lontana oramai dalla prima giovinezza, che si era discretamente compromessa, e voleva pur salvare qualche cosa. (La marchesa Du Deffant, pp. 124-125)
  • [...] mai e poi mai nella sua lunga vita la signora Geoffrin prestò il fianco alla maldicenza, e ciò riesce tanto più meritorio in un secolo, in una città e in un ambiente[6] che rimasero celebri nei fasti della galanteria. (La signora Geoffrin, p. 154)
  • [...] la marchesa di Tencin, la peggiore intrigante, la donna più malvagia e più dissoluta, quella che per la sua nascita, la sua posizione ed i suoi scandali si trovava agli antipodi della signora Geoffrin, tanto che non ci riesce coi nostri criteri moderni a tenere riuniti neppure per un solo istante i nomi di due personalità diametralmente opposte, e bisogna rifarsi col pensiero a quella società singolarissima, dove la tolleranza aveva varcato ogni confine di virtù al punto da raggiungere il confine opposto. (La signora Geoffrin, p. 159)

Incipit di alcune opere

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A bordo della Trinacria, 17 aprile 1876.

.... Lasciando il mar Jonio, il bastimento si culla dolcemente sulle onde azzurre dell'Adriatico. — Fra pochi giorni toccheremo i lidi di Grecia.
Che fai, cuor mio? Perchè tremi? La sorte è gettata.
L'ampio mare si farà ora guardiano della mia passione ed appena i suoi flutti mormorando porteranno alle sponde italiche i miei sospiri..... Rinchiuditi o cuore.
E tu, culla delle mie illusioni, addio! Addio, mia patria, mia casa paterna, dove crebbi innocente e pura; addio, mie gioie d'una volta, mia vita felice!... addio passato!

Il libro di mio figlio

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Se non avesse l'apparenza un po' cinica vorrei incominciare con una massima che io ritengo cardinale. Qualunque tu voglia essere, o galantuomo o briccone, siilo per intero.
È certo che per te non temo l'ambiguità della interpretazione, né io mi credo obbligata a soggiungere: sii galantuomo. Tuttavia per galantomismo non intendo quella onestà rudimentale che consiste nel non rubare e che per una classe numerosissima di persone sarebbe affatto senza valore; nella stessa guisa che il pudore personale si chiama virtù solamente quando è applicabile alle donne e l'ubbidienza quando si tratta di frati, di soldati e di bambini.

L'amuleto

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Quando morì carico d'anni e d'onori il generale Maurizio di Rocca Tournion, un piemontese di vecchia razza che aveva fatte le sue prime armi in Crimea e diventò poi tanto celebre nelle guerre fortunose della nostra indipendenza, i suoi eredi che erano parenti lontani, si divisero le suppellettili del suo piccolo appartamento da scapolo. Ad uno di essi toccò fra le altre cose un astuccio di una forma bizzarra in cuoio lavorato, evidente provenienza di qualche bazar di Oriente.

L'indomani

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Nello schiudersi delle palpebre gli occhi di Marta, per abitudine, cercarono la nota cameretta; ma prima ancora che le pareti, i mobili e l'ampio letto la facessero avvertita del cambiamento, il cuore le sussultò. Ella era sposa.
Guardò subito suo marito. Alberto dormiva, coi lineamenti calmi, le guancie soffuse di un roseo colorito, così infantilmente placido e sereno che la barba sembrava uno scherzo intorno al suo volto. Marta lo guardò a lungo, intensamente, vedendo sfuggire in quel sonno ostinato una delle sue più antiche fantasie d'amore, ma pur lieta di vegliare e quasi di proteggere quel sonno, presa da una tenerezza materna nella quale fondevasi la malinconia di un pensiero occulto.

La Regaldina

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C'è un fiume che scendendo giù dalle Alpi diritto per le pianure lombarde, accarezza con singolare amore i confini della provincia bergamasca, e scorrendo sempre ridente e calmo fra le rive basse tappezzate di verde, giunge ad un punto, dove piega bruscamente correndo verso l'est.
In quest'angolo, che il fiumicello disegna attraverso le opulenti campagne, come braccio d'amante stretto intorno alla sua bella, sorge nel silenzio grave della pianura un grosso borgo, che fu altre volte castello cinto di mura e di fossati, ma che dilaniato dalle guerre coi vicini, distrutto più volte, posto a ruba dalle soldatesche straniere, sventrato dalla fame e dalle pestilenze, non serba più alcuna traccia della sua vita belligera — e caduto nella confortata rassegnazione di un benessere materiale, serba solo come memoria degli antichi fatti un meschino rancore (degenere sentimento degli odi passati) contro i paesi vicini più floridi e più potenti.

La vecchia casa

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La nebbia che fino allora aveva tenuta la città prigioniera ne' suoi veli sembrava cedere agli sforzi di un pallido sole di novembre. Milano usciva nel trionfo di una opaca e tranquilla bellezza di contro al cielo grigio, uniforme, dolcemente pastoso, sul quale le spire salienti dai numerosi fumaioli segnavano alcune strisce appena più scure e i tetti, i campanili, i frontoni delle chiese smussavano tutto ciò che vi era di troppo acuto nei loro angoli, abbracciati, quasi cullati dalla grande morbidezza dell'aria e del cielo.

La piazza si riempiva di curiosi, e principalmente di curiose, per le quali la prospettiva di vedere una sposa appartenente all'alta società era una grande attrattiva. Chi la conosceva personalmente, chi l'aveva intravista, chi ne aveva solo inteso parlare.
La famiglia era notissima. I vecchi si ricordavano di aver conosciuto Giovanni Colombo, commesso in un negozio di telerie; poi il figlio Giuseppe Colombo a capo d'una grande casa di commercio; finché un bel giorno Giuseppe Colombo, diventato il signor Colombo, abbandonò i negozi e si diede a fare la vita in grande. Commercio, attività, furberia, fortunate combinazioni, un po' di tutto questo aveva concorso nella formazione della sua rapida fortuna, che da qualche anno era diventata colossale al punto da attribuirle origini più misteriose.

Nel sogno

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"Signore Iddio, vi ringrazio. Siate benedetto, o Signore, nel vostro splendore e nella vostra oscurità, nel bene che fate e nel male che permettete, nella rivelazione e nel mistero, in questo mondo e nell'altro, perché Voi solo sapete. Restino con Voi i cuori puri che mai non conobbero i turbamenti del peccato; vengano a Voi i cuori ardenti che la passione tormenta; accoglieteci tutti, mio Dio, nella vostra misericordia."
Sulle ultime parole il prete, che già stava in ginocchio cogli occhi rivolti al cielo, chinò la testa, e rimase lungamente assorto in un'estasi mistica.

— Coraggio, figliuoli, coraggio.
— Ne abbiamo, signor sindaco, ma la faccenda è brutta assai; temo l'abbia da andar male per tutti.
Chi rispondeva così alla grande autorità del paese, era il vecchio Toni, l'anziano dei barcaiuoli, che di piene ne aveva vedute parecchie, e crollava il testone grigio arruffato, sul quale stava in permanenza il tradizionale berretto rosso dei paroni del Po.
— Noi facciamo il nostro dovere, Toni, e il resto alla provvidenza.

Una giovinezza del secolo XIX

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13 Luglio 1917.

È l'alba. La suora di guardia entrando col suo passo leggero dischiude le finestre della mia camera. Sul rettangolo della finestra, che costeggia il letto, si disegna un cantuccio del mio terrazzo e nel biancore perlaceo delle prime luci il roseo dischiudersi di un oleandro accende piccoli punti di luce più viva. Tutte le mattine io ho questo angoscioso risveglio dell'anima sana e vibrante, che si riaffaccia al giornaliero supplizio di trovarsi legata a un corpo infermo.

Una passione

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L'uscio a vetri del Ristorante Savini si aperse lasciando passare due signori che si fermarono un istante sulla soglia, quasi l'uno aspettasse dall'altro la prima mossa; ma poi contemporaneamente voltarono a destra verso l'ottagono della Galleria rialzando il bavero della pelliccia.
– Mi par che questo sia un posto terribile per le bronchiti.
– Avete ragione. Sarei dolente che un malanno di tal genere dovesse lasciarvi un brutto ricordo del clima milanese. Affrettiamo il passo.
– Non venite a teatro?
– No, grazie. Sono aspettato.

Un nido

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Io l'ho veramente conosciuta la signora Rosa Spiccorlai, nella sua duplice qualità di bella donna e di moglie del signor Carlo Spiccorlai, bottegaio in ritiro.
Come bella donna, bisogna dirlo, era agli sgoccioli; ma se la cronaca non mente, ella l'aveva fatta al tempo prima che il tempo la facesse a lei; il che significa, ragazze, che se la Rosa Spiccorlai non aveva letto il Nuovo Testamento (giacchè leggere non era il suo forte), conosceva pur tuttavia la storia di quella malvagia femmina alla quale i farisei gridavano: Lapidiamola, lapidiamola! e che Gesù, misericordiosamente benigno, salvò con queste parole: Va, e non peccar più!

Un romanzo

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La signora Chiara era rientrata allora allora.
— Mio fratello?... fece colla mano sul saliscendi e volgendosi premurosamente alla serva.
— È a tavola.
La signora Chiara infilò senz'altro le camere togliendosi il velo con una mano, colla seconda lo scialle; ma la serva guizzò fra lei e il muro, e arrestandola con un movimento famigliare, disse a bassa voce, chinando il volto animato dalla curiosità:
— O mi dica un po' come era vestita?
— Più tardi, più tardi ti racconterò tutto.
— In bianco?
— Più tardi, benedetta ragazza! esclamò la signora Chiara allontanandola colla mano e correndo sempre.

Vecchie catene

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— Mille fulmini! Battista, tu non hai messo la polvere dove dovevi metterla.
Queste parole di senso oscuro le pronunciava l'elegante marchese Gili, balzando fuori dal suo carrozzino.
Battista parve comprendere l'enormità della sua colpa, perché balbettò umilmente qualche scusa.
— Bisogna rimediarvi, — soggiunse il marchese, appoggiando sul selciato della via un piedino snello con calze di seta color carnicino e scarpette lucide.

  1. Da Il libro di mio figlio, Libreria editrice Galli, Milano, 1891, pp. 100-101.
  2. Citato in Matteo Marchesini, Neera a cento anni dalla morte, Leparoleelecose.it, 19 luglio 2018, già pubblicato sul Domenicale del Sole 24 ore del 15 luglio 2018.
  3. Charlotte, all'età di quattro anni, fu venduta da un mercante di schiavi al conte Charles de Ferriol, che l'allevò per destinarla ai suoi piaceri.
  4. Jean-François Marmontel.
  5. Charles-Jean-François Hénault.
  6. Nella società colta parigina del XVIII secolo.

Bibliografia

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Altri progetti

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Note 2