Thomas Hobbes

filosofo britannico

Thomas Hobbes (1588 – 1679), filosofo inglese.

Thomas Hobbes

Citazioni di Thomas Hobbes

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  • L'interesse e la paura sono i principi della società.[1]
  • L'unica passione della mia vita è stata la paura.[2]
  • La passione del riso non è altro che un improvviso senso di gloria che sorge da un'improvvisa consapevolezza di qualche superiorità insita in noi, al paragone con le debolezze altrui, o con una nostra precedente: infatti, gli uomini ridono delle loro follie passate, quando se ne rammentano all'improvviso, a meno che ciò non implichi per loro un disonore nel presente.[3]
  • Per comprendere il significato di ciò, non si chiede che un uomo sia un geometra o un logico, ma che sia matto.[4]
  • [Ultime parole] Sto per iniziare il mio ultimo viaggio, un grande salto nel buio.[5]
I am about to take my last voyage, a great leap in the dark.[6]
  • Vi è una passione che non ha nome, ma il cui segno è quella smorfia del volto che chiamiamo riso, e che è sempre gioia.[7]

Attribuite

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  • Prima bisogna pensare a vivere, poi a fare della filosofia.[8]
Primum vivere, deinde philosophari. (proverbio latino)

Leviatano

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  • La vita non è altro che un movimento di membra. (Introduzione)
  • Che cos'è infatti il cuore se non una molla e che cosa sono i nervi se non altrettanti fili e che cosa le giunture se non altrettante ruote che danno movimento all'intero corpo, così come fu designato dall'artefice? (Introduzione)
  • Oltre al senso, ai pensieri e alla serie di pensieri, la mente umana non ha altro movimento. (I, III)
  • L'intendimento non è altro che la concezione causata dalla parola. (I, IV)
  • I vocaboli infatti sono i gettoni degli uomini saggi, i quali con essi non fanno che calcoli; ma valutati per l'autorità di un Aristotele, di un Cicerone, o di un Tommaso o di un qualunque altro dottore, se è solo un uomo, sono la moneta degli stolti. (I, IV)
  • [...] [Il] privilegio dell'assurdità, al quale nessuna creatura vivente è soggetta, ma solamente l'uomo. (I, V)
  • Cosicché pongo in primo luogo, come una inclinazione generale di tutta l'umanità, un desiderio perpetuo e senza tregua di un potere dopo l'altro che cessa solo nella morte. (I, XI)
  • Durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La GUERRA, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell'atto del combattere, ma in un tratto di tempo, in cui è sufficientemente conosciuta la volontà di contendere in battaglia. (I, XIII)
  • La forza e la frode sono in guerra le due virtù cardinali. (I, XIII)
  • Perciò tutto ciò che è conseguente al tempo di guerra in cui ogni uomo è nemico ad ogni uomo, è anche conseguente al tempo in cui gli uomini vivono senz'altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire loro. In tale condizione non c'è posto per l'industria, perché il frutto di essa è incerto, e per conseguenza non v'è cultura della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si possono importare per mare, né comodi edifici, né macchine per muovere e trasportare cose che richiedono molta forza, né conoscenza della faccia della terra, né calcolo del tempo, né arti, né lettere, né società, e, quel che è peggio di tutto, v'è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell'uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve. (I, XIII)
  • Se un patto viene stipulato senza che alcuna delle due parti lo ponga immediatamente in effetto, ma l'una riponga nell'altra la propria fiducia, nel puro stato di natura, che è stato di guerra dell'uno contro l'altro, è ragionevole sospettare che quel patto resti lettera morta; ma non lo è se esiste un potere comune, superiore alle due parti, con forza e diritto sufficienti a farlo mettere in atto. (I, XIV, p. 170, UTET)
  • E per il fatto che la condizione dell'uomo (come è stato dichiarato nel capitolo precedente) è una condizione di guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo, e, in questo caso, ognuno è governato dalla propria ragione e non c'è niente di cui egli può far uso che non possa essergli di aiuto nel preservare la sua vita contro i suoi nemici, ne segue che in una tale condizione ogni uomo ha diritto ad ogni cosa, anche al corpo di un altro uomo. (I, IV)
  • Gli uomini sono continuamente in competizione per l'onore e per la dignità, cosa che non accade tra queste creature;[9] per conseguenza tra gli uomini sorge, su quel fondamento, l'invidia e l'odio, e, infine, la guerra; tra queste, invece, non è così.
    [...] Tra queste creature, il bene comune non differisce dal privato, ed essendo esse, per natura, inclini al loro bene privato, procurano con ciò il beneficio comune. Ma l'uomo, la cui gioia consiste nel paragonarsi con gli altri uomini, non può gustare se non ciò che è eminente. [...]
    Infine, [...] l'accordo tra queste creature è naturale, mentre quello tra gli uomini è solo per patto ed è artificiale. (II, XVII)
  • I patti senza la spada sono solo parole. (II, XVII)
  • Appare chiaro, a mio giudizio, sia dalla ragione che dalla Scrittura, che il potere sovrano, sia esso posto in un uomo, come nella monarchia o in un'assemblea di uomini, come negli stati popolari e aristocratici, è tanto grande quanto gli uomini possono immaginare di farlo. E sebbene si possano immaginar molte cattive conseguenze da un potere così illimitato, pure le conseguenze della mancanza di esso, la guerra ognuno contro il suo vicino, sono di gran lunga peggiori. (II, XX)
  • L'obbligo dei sudditi verso il sovrano, si intende che dura fino a che dura il potere per il quale esso è in grado di proteggerli e non più a lungo. (II, XXI)
  • L'errore di un uomo non diventa la sua legge, né lo obbliga a persistere in esso. (II, XXVI)
  • L'autorità, non la verità, fa la legge. (II, XXVI)
Auctoritas non veritas facit legem.
  • L'UFFICIO del sovrano (sia un monarca o un'assemblea) consiste nel fine per il quale gli è stato affidato il potere sovrano, quello, cioè, di procurare la sicurezza del popolo. (II, XXX)
  • Il Papato non è altro che lo spettro del defunto impero romano, che siede, incoronato, sulla sua tomba. (IV, XLVII)
  • La lode degli autori antichi non procede dalla riverenza verso i morti ma dalla competizione e dall'invidia reciproca dei viventi. (Revisione e conclusione)
  • Dritto delle genti e dritto di natura sono la stessa e medesima cosa. Ciò che prima della costituzione dello Stato potette esser compiuto da ciascun uomo, lo stesso, per il dritto delle genti, può essere compiuto dallo Stato e la legge che prescrive all'uomo, prima che siano determinati i dritti civili, ciò che è necessario fare e ciò che è necessario evitare, la stessa dà norme agli Stati, attraverso la coscienza dei Sovrani. Un tribunale per la giustizia naturale, all'infuori della coscienza, non vi è, e su questa governa solo Dio, i cui dettami, come autore della natura e re degli animi degli uomini, sono le leggi naturali. (ed. R. Carabba, 1932, cap. XIV, p. 177)
  1. Da Del cittadino; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  2. Citato in Roland Barthes, Il piacere del testo, traduzione di Lidia Lonzi, Einaudi, Torino, 1980, p. 2.
  3. Da Elementi di legge naturale e politica, parte I, cap. 9, § 13, pp. 69-70.
  4. Il riferimento è alla cosiddetta Tromba di Torricelli o Tromba di Gabriele, solido ideato da E. Torricelli.
  5. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, Milano, 2013. ISBN 9788858654644
  6. Citato in Elizabeth Knowles, Oxford dictionary of phrase and fable, Oxford University Press, 2006, p. 879. ISBN 019920246X
  7. Da Elementi di legge naturale e politica, parte I, cap. 9, § 13, p. 69.
  8. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto, Hoepli, Milano, 2007, p. 440. ISBN 88-203-0092-3
  9. Hobbes si riferisce agli animali, in particolare a quelli sociali, come le formiche e le api.

Bibliografia

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  • Thomas Hobbes, Elementi di legge naturale e politica, traduzione di Arrigo Pacchi, La Nuova Italia, Firenze, 1968.
  • Thomas Hobbes, Leviatano, traduzione di Gianni Micheli, Rizzoli, Milano, 2011. ISBN 9788858606452
  • Thomas Hobbes, Leviatano, a cura di Francesco Moffa, R. Carabba Editore, Lanciano, 1932.
  • Thomas Hobbes, Il Leviatano, traduzione e curatela di Roberto Giammanco, UTET, Torino, 1955.

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