Tommaso d'Aquino

teologo cattolico, filosofo italiano e Dottore della Chiesa
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San Tommaso d'Aquino (1225 – 1274), frate domenicano e filosofo italiano.

San Tommaso d'Aquino

Citazioni di Tommaso d'Aquino

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Super libros de generatione et corruptione
  • Come gli occhi della nottola sono abbagliati dalla luce del sole che non riescono a vedere, ma vedono bene le cose poco illuminate, così si comporta l'intelletto umano di fronte ai primi principi, che sono tra tutte le cose, per natura, le più manifeste.[1]
  • Dio avrebbe potuto creare un mondo senza uomini, e in seguito avrebbe potuto produrre l'uomo.[2]
  • Dovremmo verificare se vi è contraddizione tra l'essere creato da Dio e l'essere eterno.[3]
  • I doni della grazia si aggiungono alla natura in modo da non toglierla di mezzo, ma da perfezionarla: perciò anche il lume della fede che ci fu infuso per grazia non distrugge il lume della conoscenza naturale che in noi è naturalmente presente. Sebbene il lume naturale della mente umana sia insufficiente alla manifestazione di quelle cose che attraverso la fede si manifestano, è tuttavia impossibile che le cose che ci sono attraverso la fede tramandate divinamente siano contrarie a quelle che ci sono date per natura. In questo caso occorrerebbe che o le une o le altre fossero false; e poiché sia le une sia le altre ci vengono da Dio, Dio sarebbe per noi autore della falsità: il che è impossibile. [...] Per conseguenza possiamo nella sacra scrittura adoperare la filosofia in tre modi. In primo luogo, a dimostrare i preamboli della fede, che sono necessari alla scienza della fede; tali sono le cose che si dimostrano intorno a Dio con la ragione naturale: che Dio esiste, che Dio è uno e altre verità di Dio e delle creature che in filosofia sono dimostrate e che la fede presuppone. In secondo luogo, la filosofia può essere adoperata a chiarire, mediante similitudini, cose che sono di pertinenza della fede; come Agostino nel de Trinitate si serve di numerose similitudini desunte da dottrine filosofiche per chiarire la Trinità. In terzo luogo, si può anche resistere alle obiezioni che si fanno alla fede sia mostrando che sono false, sia mostrando che non sono necessarie.[4]
  • Il Cristo è stato privato di ogni bene esteriore, fino alla nudità corporale… È questa povertà della croce che vogliono seguire coloro che abbracciano la povertà volontaria, specialmente coloro che rinunciano a ogni tornaconto.[5]
  • Il maestro si limita a «muovere», a stimolare il discepolo e il discepolo solo se risponde a questo stimolo – sia durante che dopo l'esposizione del maestro – arriva ad un vero apprendimento.[6]
  • I peccati sono farina del nostro sacco; il bello, il buono che è in noi è frutto della misericordia di Dio.[7]
  • La mia anima non è me stesso.[8]
  • La pace è indirettamente opera della giustizia, in quanto questa ne rimuove gli ostacoli, ma è opera della carità che, in forza della sua natura, porta la pace.[9]
  • Lasciamo che un Santo scriva di un altro Santo![10]
  • La natura non è altro che il piano di un Artista, e di un Artista divino, iscritto all'interno delle cose, grazie al quale si muovono verso un fine determinato, come se il costruttore di una nave potesse fornire ai pezzi di legno la capacità di muoversi da sé per la produzione della forma della nave.[11]
  • La presenza del vero corpo e sangue di Cristo in questo sacramento non può essere rilevata dai sensi o dall'intelletto, ma dalla fede soltanto.[12]
  • La scienza filosofica riguarda l'ente in quanto ente, cioè considera l'ente dal punto di vista della ratio universale di ente, e non dal punto di vista della ratio specifica di qualche ente particolare.[13]
  • Nessun uomo dovrebbe vendere una cosa a un altro uomo per più del suo valore.[14]
  • Quello che si spera si deve credere che possa essere ottenuto; è quanto aggiunge la speranza al puro desiderio.[15]
  • Sebbene il lume naturale della mente umana sia insufficiente alla manifestazione di quelle cose che attraverso la fede si manifestano, è tuttavia impossibile che le cose che ci sono attraverso la fede tramandate divinamente siano contrarie a quelle che ci sono date per natura. In questo caso occorrerebbe che o le une o le altre fossero false; e poiché sia le une sia le altre ci vengono da Dio, Dio sarebbe per noi autore della falsità: il che è impossibile.[16]
  • Sinonimi diconsi i vocaboli che significano affatto il medesimo. Tali vocaboli, messi insieme, rendono il dire inetto. Notisi, però, che i sinonimi veri son quelli che significano una cosa medesima secondo la medesima ragione dell'essere di quella; ma quelli che denotano le varie ragioni dell'essere di una cosa, non significano per l'appunto il medesimo.[17]
  • Solo Cristo è il vero sacerdote, gli altri sono i suoi ministri.[18]
  • Sono altre quattro le città preminenti, Parigi nelle scienze, Salerno nelle medicine, Bologna nelle legge, Orleans nelle arti attoriali.[19]
Quatuor sunt urbes cæteris præeminentes, Parisius in scientiis, Salernum in medicinis, Bononia in legibus, Aurelianis in actoribus.
  • Tra le cose che Cristo ha compiuto o subito durante la sua vita mortale, la sua adorabile croce si offre a noi come l'esempio principale che noi dobbiamo imitare. [...] Ora, tra tutto ciò che essa insegna, c'è innanzitutto una povertà assoluta (omnimoda paupertas), perché Cristo sulla croce è stato privato di ogni bene fino alla nudità [...]. Coloro che abbracciano la povertà volontaria vogliono seguire proprio questa nudità della croce, specialmente coloro che rinunciano a ogni rendita [...]. Quindi è chiaro che gli avversari della povertà sono anche nemici della croce di Cristo; secondo la sapienza di questo mondo, essi pensano che l'avere possessi terreni faccia parte della perfezione cristiana e che il rinunciare ad essi condurrebbe soltanto ad una perfezione inferiore.[20]
  • [Sul Padre nostro] Tra tutte le preghiere il Padre Nostro occupa certamente il primo posto, perché possiede i cinque più importanti requisiti che ogni preghiera deve possedere. Innanzitutto infonde molta fiducia perché ci è stata consegnata da Gesù Cristo, che è intercessore sapientissimo nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) e che è nostro avvocato presso il Padre (1 Gv 2,1). È una preghiera retta perché in essa chiediamo a Dio le cose che lui stesso ci ha insegnato a chiedere. È umile perché chi prega non presume assolutamente nelle proprie forze, ma aspetta di ottenere tutto dall'onnipotenza divina cui si rivolge supplichevoli.[21]
  • Uno e identico è l'atto del sentito e del senziente.[22]

Attribuite

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  • Guardati dall'uomo d'un solo libro, che ha letto un solo libro.
Cave ab homine unius libri.[23]

Contra Gentiles

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  • I principi innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che non è neppure possibile pensare che siano falsi. (I, c. 7 n. 2)
  • Perciò l'emissione dello sperma deve essere così ordinata da poterne seguire la generazione e l'educazione della prole. Da ciò risulta evidente che è contro il bene dell'uomo ogni emissione dello sperma, prodotta in modo da non poterne seguire la generazione. […] Perciò, dopo il peccato di omicidio, col quale si distrugge la natura umana già esistente in atto, occupa il secondo posto questo genere di peccato, col quale viene impedita la generazione della natura umana. (III, c. 122)
  • La femmina, infatti, ha bisogno del maschio non solo per la generazione, come negli altri animali, ma anche come suo signore, perché il maschio è più perfetto quanto a intelligenza ed è più forte quanto a coraggio. (III, c. 123)

De Veritate

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  • I primi concetti dell'intelletto preesistono in noi come semi di scienza, questi sono conosciuti immediatamente dalla luce dell'intelletto agente dall'astrazione delle specie sensibili... in questi principi universali sono compresi, come germi di ragione, tutte le successive cognizioni. (q. 11 a. 1 – co)
  • Se invero uno propone ad un altro cose che non sono incluse nei principi per sé noti, o che non appaiono chiaramente incluse, non produrrà in lui sapere, ma forse opinione o fede. (q. 11 a. 1 – co)
  • Tu non possiedi la Verità, ma è la Verità che possiede te.

Summa Theologiae

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  • Belle si dicono le cose che piacciono all'occhio.
  • Dico dunque che questa proposizione, "Dio esiste", è in sé stessa e di per sé evidente, perché il predicato s'identifica col soggetto; Dio infatti è il suo essere: ma siccome noi ignoriamo l'essenza di Dio, per noi non è evidente, ma necessita di essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a noi più note, [...] cioè mediante gli effetti. (I, questione 2, articolo 1)
  • Il bene si diffonde. (I, questione 5, articolo 4, ad 2[24])
Il bene è qualche cosa che tende a diffondere il bene stesso. (I-II, questione 2, articolo 3[25])
Il bene è diffusivo del suo essere. (Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo[26])
Bonum est diffusivum sui.
  • I corpi celesti sono la causa di ciò che avviene in questo mondo, ma non tutti gli effetti che producono sono inevitabili.
  • Imperfettamente conosciamo e imperfettamente amiamo. (I-II, 68, 2)
  • Perché una guerra sia giusta sono necessarie tre cose: la prima, l'autorità del sovrano; la seconda, una giusta causa; la terza una giusta intenzione.
  • Poiché il sentimento della pietà sorge dalle afflizioni degli altri, ed accade anche agli animali bruti di soffrire dolore, l'affezione della pietà può sorgere nell'uomo anche rispetto alle afflizioni degli animali. Ovviamente, chiunque sia abituato a provare un sentimento di pietà verso gli animali, è per questo motivo più disposto ad un'affezione di pietà verso gli uomini: onde si dice nei Proverbi XII 10: «Il giusto sa curare il suo bestiame, ma le viscere degli empi sono crudeli». E perciò il Signore, vedendo che il popolo ebraico era crudele, per poterlo richiamare alla pietà, volle insegnargli la misericordia anche verso le bestie brute, proibendo che venissero compiuti contro gli animali certi atti che sembrano confinare con la crudeltà. E perciò egli proibì loro di bollire i cuccioli nel latte della madre (Deut. XIV 21), o di mettere la museruola al bue che trebbia (Deut. XXV 4), o di uccidere gli uccelli vecchi con quelli giovani (Deut. XXII 6,7). (I-II, q. 102, art. 6 ad. 8[27])
  • Sembra che l'onesto non s'identifichi col bello.
  • Come dice S. Agostino: «Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper trarre il bene anche dal male». Sicché appartiene all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni. (I, q. 2, a. 3)[28]
  • Siccome di Dio non possiamo sapere che cosa è, ma piuttosto che cosa non è, non possiamo indagare come egli sia, ma piuttosto come non sia. (I, 3, Prologo: citato nel Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede)
  • Siccome infatti la Grazia non distrugge la natura, ma anzi la perfeziona, la ragione deve servire alla fede, nel modo stesso che l'inclinazione naturale della volontà asseconda la carità. [...] È così che la sacra dottrina utilizza anche l'autorità dei filosofi dove essi con la ragione naturale valsero a conoscere la verità; [...]. Però di questa autorità la sacra dottrina fa uso come di argomenti estranei e probabili; mentre l'autorità della Scrittura canonica si serve come di argomenti propri e rigorosi.
  • Essendo gli ebrei stessi servi della Chiesa, questa può disporre dei loro averi. (II, IIa, q.10, a10[29])
  • Il Signore ha creato l'uomo, poi ha voluto creare la donna per dargli un aiuto simile a lui [audiutorium sibi simile]. [...] L'aiuto non è per qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. [...] Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L'aiuto quindi è per la generazione.
  • Uno non può pentirsi veramente di un peccato senza pentirsi degli altri. (III, q. 86, 3)
  • Rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto simile a sé, di sesso maschile, e il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da una indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, p. es. dai venti australi, che sono umidi, come dice il Filosofo [De gen. animal. 4, 2]. Rispetto invece alla natura nella sua universalità la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l'ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l'autore universale della natura. Quindi nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina. (Pars I, Quaest. XCII, Art. I)
Ad primum ergo dicendum quod per respectum ad naturam particularem, femina est aliquid deficiens et occasionatum. Quia virtus activa quae est in semine maris, intendit producere sibi simile perfectum, secundum masculinum sexum, sed quod femina generetur, hoc est propter virtutis activae debilitatem, vel propter aliquam materiae indispositionem, vel etiam propter aliquam transmutationem ab extrinseco, puta a ventis Australibus, qui sunt humidi, ut dicitur in libro de Generat. Animal. Sed per comparationem ad naturam universalem, femina non est aliquid occasionatum, sed est de intentione naturae ad opus generationis ordinata. Intentio autem naturae universalis dependet ex Deo, qui est universalis auctor naturae. Et ideo instituendo naturam, non solum marem, sed etiam feminam produxit.
  • Era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell'uomo. Primo, per indicare che tra l'uomo e la donna ci deve essere un vincolo di amore. D'altra parte la donna «non deve dominare sull'uomo» [1 Tm 2, 12], e per questo non fu formata dalla testa. Né deve essere disprezzata dall'uomo come una schiava: perciò non fu formata dai piedi. (vol. I, articolo 3)
  • Quando si dice che l'intemperanza è il vizio più disonorante, s'intende tra i peccati umani […] Ma quei peccati che sorpassano i limiti della natura umana sono ancora più disonoranti. Tuttavia anche questi sembrano ridursi per eccesso al genere dell'intemperanza: il fatto, per esempio, di mangiare carne umana, o nel coito bestiale od omosessuale. (IIa-q.CXVII, a.4)
  • S'impedirebbe molto di ciò che è utile se tutti i peccati fossero severamente vietati.[30]
Multae utilitates impedirentur si omnia peccata districte prohibentur.

Il Preziosissimo Sangue del Redentore

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  • L'uomo fu liberato dal potere del demonio mediante la passione di Cristo in quanto la passione causò la remissione dei peccati...la passione di Cristo ci ha liberati dal potere del demonio in quanto ci ha riconciliati con Dio. E Sant'Agostino sostiene: "Il demonio fu vinto dalla giustizia di Cristo: poiché non avendo trovato in lui nulla che fosse degno di morte, tuttavia lo uccise". Però anche ora, col permesso di Dio, il demonio può tentare gli uomini nell'anima e vessarli nel corpo; ma con la Passione di Cristo è stato preparato per l'uomo un rimedio con cui egli si può difendere dagli assalti del nemico, in modo da non essere trascinato alla morte eterna.[31]

Gli angeli

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Angelo custode, dalla nascita
  • Come Origene [In Mt tract. 13] riferisce, ci sono in proposito due opinioni. Alcuni dicevano che l'angelo custode è assegnato all'uomo al momento del battesimo, altri invece al momento della nascita. S. Girolamo difende la seconda opinione, e con ragione. Infatti i benefici largiti da Dio all'uomo in quanto cristiano hanno inizio dal momento del battesimo, p. es. la ricezione dell'Eucaristia e altre cose del genere. Invece le cose che Dio nella sua provvidenza concede all'uomo in quanto ha un'anima razionale gli vengono concesse fin dal momento in cui, con la nascita, egli entra in possesso di tale natura. Ora, la custodia degli angeli è un beneficio di questo genere, come risulta chiaro dalle cose dette sopra [aa. 1, 4]. Quindi l'uomo ha un angelo deputato alla sua custodia dal momento della nascita. (Quaestio 113, articolo 6[32])
  • Come abbiamo già spiegato [a. 2, ad 1], la custodia dell'uomo si attua in due forme. Primo, in forma individuale, secondo che a ogni singolo uomo è assegnato un particolare angelo custode. E la custodia in questa forma spetta agli angeli dell'infimo ordine, incaricati, come insegna S. Gregorio [l. cit.], di «annunziare le cose di minore importanza»: ora, fra tutti gli uffici angelici il minimo Pare appunto quello di prendersi cura di quanto interessa la salvezza di un solo individuo. — Secondo, in forma universale. E questa varia secondo i diversi ordini, poiché una causa è tanto più alta quanto più è universale. Per conseguenza la custodia delle collettività umane spetta all'ordine dei Principati, o forse agli Arcangeli, il cui nome significa Angeli Prìncipi: per cui anche Michele, che è un Arcangelo, viene detto in Daniele [10, 13] «uno dei prìncipi». Salendo, vengono poi le Virtù, che esercitano la custodia su tutte le nature corporee. Salendo ancora vengono le Potestà, che stanno a guardia dei demoni. Da ultimo poi vengono i Principati, che secondo S. Gregorio [l. cit.] fanno da custodi agli spiriti buoni. (Quaestio 13, art. 3, p. 1064)
  • La virtù di qualsiasi essere corporeo è più ristretta di quella di una sostanza spirituale: poiché ogni forma corporea viene resa individuale dalla materia e determinata alle condizioni del tempo e dello spazio, mentre le forme immateriali sono sciolte da queste condizioni, e intelligibili. Per conseguenza come gli angeli inferiori, che hanno forme intenzionali meno universali, sono governati per mezzo di quelli superiori, così tutti i corpi sono governati per mezzo degli angeli. — E questa è la sentenza non solo dei santi Dottori, ma anche di tutti i filosofi che hanno ammesso l'esistenza delle sostanze immateriali. [...] ebbene gli angeli possano operare qualcosa fuori dell'ordine della natura materiale, non possono tuttavia trascendere l'ordine di tutto il creato: che è quanto propriamente si esige per il vero miracolo, come si è detto [nel corpo].
Illuminazione e miracolo
  • Gli angeli con la loro attività esterna servono principalmente Dio, e secondariamente noi uomini. E ci servono non perché siamo più grandi di loro, semplicemente parlando, ma perché un uomo, o un angelo qualsiasi, in quanto con l'adesione a Dio diventa un solo spirito con lui, è superiore a ogni altra creatura. Per cui l‘Apostolo [Fil 2, 3][33] comanda che «ciascuno ritenga gli altri superiori a se stesso». (Quaestio 112, articolo 1, p. 1055)
  • Nei divini ministeri vi sono molti gradi. Nulla quindi impedisce che anche angeli disuguali siano inviati in ministero; però ai ministeri più alti sono deputati gli angeli superiori, e a quelli più bassi gli angeli inferiori. (Quaestio 112, a. 2, p. 1057)
  • Per operare il bene si richiedono due cose. Primo, che l'affetto sia inclinato al bene: e in noi ciò si compie mediante l'abito delle virtù morali. Secondo, che la ragione trovi la via giusta per operare l'atto virtuoso: e questo è il compito che il Filosofo [Ethic. 6, 12[34] assegna alla prudenza. Per quanto dunque riguarda la prima cosa, Dio custodisce l'uomo direttamente, infondendogli la grazia e le virtù. Per quanto invece riguarda la seconda, Dio custodisce l'uomo quale supremo maestro, ma il suo insegnamento, come si è visto [q. 111, a. 1], perviene all'uomo attraverso gli angeli. Come l'uomo si discosta dalla naturale inclinazione verso il bene a causa delle passioni che spingono al peccato, così si discosta pure dall'ispirazione degli angeli buoni, prodotta da questi invisibilmente in quanto illuminano gli uomini affinché agiscano bene. Quindi il fatto che gli uomini periscano non va imputato alla negligenza degli angeli, ma alla malizia degli uomini. Che poi gli angeli in casi straordinari appaiano talora visibilmente agli uomini proviene da una grazia speciale di Dio: come quando avvengono dei miracoli fuori dell'ordine della natura. (Quaestio 113, a. 1, pp. 1060-1061)
  • Si è detto sopra [q. 112, a. 3, ad 4] che tutti gli angeli della prima gerarchia sono illuminati immediatamente da Dio su alcune verità, ma che vi sono altre verità intorno alle quali sono illuminati immediatamente da Dio solo gli angeli superiori, che illuminano poi gli inferiori. Ora, la stessa considerazione va fatta riguardo agli ordini inferiori: infatti un angelo di grado infimo è illuminato su alcune verità da un qualche angelo supremo, e su altre dall'angelo che sta immediatamente sopra di lui. E così è possibile che un angelo illumini immediatamente l'uomo e abbia nondimeno sotto di sé altri angeli da lui illuminati. (Quaestio 113, a. 2, p. 1063)
Conoscenza e amore
  • Tutte le cose, procedendo dalla volontà di Dio, tendono al bene, ma ciascuna in modo diverso. Alcune infatti hanno soltanto un'inclinazione naturale al bene, senza conoscerlo, come le piante e i corpi inanimati. E questa inclinazione al bene viene chiamata appetito naturale. — Altri esseri invece tendono al bene per averlo in qualche modo conosciuto: non nel senso che conoscano la natura stessa del bene, ma in quanto conoscono qualche bene particolare, come fa il senso che conosce il dolce o il bianco o altre simili cose. E l'inclinazione che accompagna questa conoscenza viene chiamata appetito sensitivo. — Altri esseri infine tendono al bene conoscendo la natura stessa del bene, il che è proprio dell'intelletto. E questi esseri tendono al bene in modo perfettissimo: infatti non tendono al bene solo perché ricevono l'impulso o la direzione da un altro essere, come le realtà non dotate di conoscenza, e neppure tendono soltanto a un bene particolare, come gli esseri che hanno la sola conoscenza sensitiva, ma sono inclinati al bene universale. E questa inclinazione prende il nome di volontà. — Quindi, dato che gli angeli conoscono con l'intelletto la stessa nozione universale di bene, è evidente che in essi si trova la volontà (Quaestio 59, a. 1, p. 638).
  • In essi infatti non vi sono le passioni della concupiscenza, o del timore e dell'audacia, che debbono essere regolate dalla temperanza e dalla fortezza. Si dice però che in essi è la temperanza in quanto essi moderano i moti della loro volontà secondo le norme della volontà divina. E si pone in essi la fortezza in quanto eseguono con fermezza la volontà divina. Ma tutto ciò avviene per mezzo della volontà, non per mezzo dell'irascibile e del concupiscibile. (Quaestio 59, a. 4, p. 647)
  • Si deve perciò concludere che un angelo ama l'altro di dilezione naturale in quanto quest‘ultimo ha la sua stessa natura. Non lo ama invece di dilezione naturale in quanto per altre cose si accorda con lui, o con lui è in disaccordo.. [...] La dilezione naturale ha per oggetto il fine stesso non già nel senso che questo sia il soggetto a cui si vuole il bene, ma piuttosto nel senso che esso è il bene che uno vuole a se stesso, e conseguentemente anche agli altri, in quanto questi formano una cosa sola con lui. E questa dilezione naturale non può venir meno neppure negli stessi angeli cattivi, i quali hanno una dilezione naturale per gli altri angeli in quanto conservano in comune con essi la natura. Li odiano però in quanto differiscono da essi a motivo della giustizia e dell'iniquità. (Quaestio 60, a. 4, p. 648)

Le cinque vie

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  • Quod Deum esse quinque viis probari potest.
Che Dio esiste, si può provare per cinque vie. (I, questione 2, articolo 3)
  • [Prima via: Ex motu] [...] tutto ciò che si muove è mosso da un altro. [...] Perché muovere significa trarre qualcosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. [...] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto, una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova sé stessa. [...] Ora, non si può procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore [...]. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
  • [Seconda via: Ex causa] [...] in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia e l'intermedia è causa dell'ultima [...] ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neanche l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente [...]. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
  • [Terza via: Ex possibili et necessario o Ex contingentia] [...] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state [...]. Se dunque tutte le cose [...] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. [...] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. [...] negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito [...]. Dunque, bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
  • [Quarta via: Ex gradu] [...] il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; [...] come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto è vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere [...]. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
  • [Quinta via: Ex fine] [...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.

Immacolata Concezione di Maria

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Latino[35][36]

Ad secundum dicendum, quod si numquam anima B. Virginis fuisset contagio originalis peccat inquinata, hoc derogaret dignitati Christi, secundum quam est universalis omnium Salvator. Et ideo sub Christo, qui salvari non indiguit, tamquam universalis Salvator, maxima fuit B. Virginis puritas. Nam Christus nullo modo contraxit originale peccatum sed in ipsa suae conceptionis fuit sanctus, secundum illud Luc., I, 35:«Quod ex te nascetur sanctum, vocabitur filius Dei». Sed B. Virgo contraxit quidem originale peccatum, sed ab eo fuit mundatam antequam ex utero nasceretur. Et hoc signatur Job, III, 9, ubi de nocte originalis peccati dicitur: «Expectet lucem» (id est Christum) «et non videat»; quia «nihil inquinatum incurrit in Adam», ut dicitur Sap., VII, 25: «nec ortum sorgentis autorae», id est, B. Virginis, quae in suo ortu a peccato originalis fuit immunis.


Ad tertium dicendum, quod licet Romana Ecclesia conceptionem, B. Virginis non celebret, tollerat tamen consuetudinem aliquarum Ecclesiarum illud festum celebrantium. Unde talis celebritas non est totaliter reprobanda. Nec tamen per hoc quod festum Conceptionis celebratur, datum est intellegi quod in sua conceptione fuerit sancta; sed quia quo tempore sanctificata fuerit ignoratur, celebratur festum sanctificationis eius potius conceptionis in die Coceptionis ipsius.


Ad quartum dicendum, quod duplex est sanctificatio: una quidem totius naturae, imquantum scilicet tota natura humana ab omni corruptione culpae et poenae liberatur; et haec erit in resurrectione. Alia vero est sanctificatio personalis, quae non transit in prolem carnaliter genitam, quia talis sanctificatio non respicit carnem, sed mentem. Et ideo etsi parentes beatae Virginis fuerint mundati a peccato originali, nihilominus beata Virgo a peccato originale contraxit, cum fuerit concepta secundum carnis concupiscendam ex commixtione maris et feminae. Dicit enim Augustinus: «Omnem, quae de concubitu nascitur, carnem esse peccati».

Italiano[37]

2. Se l‘anima della Beata Vergine non fosse stata mai contagiata dal peccato originale, Cristo perderebbe la dignità di essere il Salvatore universale di tutti. Perciò la purezza della Beata Vergine fu la più grande, ma al di sotto di quella di Cristo, che in qualità di Salvatore universale non aveva bisogno di essere salvato. Cristo infatti non contrasse in alcun modo il peccato originale, ma fu santo nella sua stessa concezione, secondo le parole evangeliche [Lc 1, 35]: «Il santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio». Al contrario la Beata Vergine contrasse il peccato originale, ma ne fu mondata prima di uscire dal seno materno. Al che si possono applicare le parole di Giobbe, là dove dice [3, 9] che la notte del peccato originale «aspetterà la luce», cioè Cristo, «e non vedrà neppure il sorgere dell‘aurora», cioè della Beata Vergine, che alla sua nascita era immune dal peccato originale (poiché, come si legge [Sap 7, 25], «nulla di contaminato si infiltrò in lei»).


3. La Chiesa Romana, sebbene non celebri «la concezione della Beata Vergine», tuttavia tollera la consuetudine di alcune chiese di celebrare tale festa. Per cui tale celebrazione non è da riprovarsi completamente. In ogni modo la celebrazione di questa festa non autorizza a pensare che la Vergine sia stata santa nel suo concepimento. Ignorandosi infatti il momento della sua santificazione, questa viene celebrata nel giorno del suo concepimento.


4. C'è una duplice santificazione. Una di tutta la natura umana, mediante la liberazione da ogni male di colpa e di pena. E ciò avverrà nella risurrezione finale. - L‘altra è la santificazione personale. E questa non si trasmette alla prole per generazione carnale, poiché non riguarda il corpo, ma l‘anima. Sebbene quindi i genitori della Beata Vergine ne fossero stati mondati, nondimeno la Beata Vergine contrasse il peccato originale, essendo stata concepita per concupiscenza carnale e per l‘unione tra un uomo e una donna: poiché, come dice S. Agostino [De nuptiis et concup. 1, 12], «la carne che nasce dal rapporto carnale è tutta carne di peccato».

Omicidio, caccia e pena di morte

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  • [...] diciamo che vi è un doppio ordine di natura. Il primo è l'ordine genetico o cronologico, e in esso hanno una priorità gli esseri imperfetti e potenziali. I dati più universali sono quindi anteriori secondo la natura, stando a questa considerazione: e ciò risulta chiaramente nella generazione umana e in quella degli animali, poiché secondo Aristotele [De anima 2, 3] «prima è generato l‘animale e poi l‘uomo». Il secondo è l'ordine di perfezione, o di finalità naturale: quello cioè per cui l'atto, assolutamente parlando, è per sua natura prima della potenza, e il perfetto è prima dell'imperfetto. E in base a tale ordine i dati meno universali hanno una precedenza su quelli più universali: l'uomo, p. es., ha la precedenza sull'animale, poiché lo scopo a cui tende la natura non è la generazione dell'animale, ma quella dell'uomo. (ST I, q. 85, a. 3)
  • L'omicidio è peccato perché con esso un uomo viene privato della vita. Ma la vita è comune a tutte le piante e a tutti gli animali. Quindi per lo stesso motivo è peccato sopprimere gli animali e le piante. (ST II-II, q. 64, a. 1)
  • Come dunque nella generazione dell'uomo abbiamo prima il vivente, poi l'animale e finalmente l'uomo, così gli esseri che sono solo viventi, ossia le piante, sono fatte ordinariamente per gli animali, e gli animali sono fatti per l'uomo, [...] come il Filosofo stesso dimostra [Polit. 1, 3]. È lecito sopprimere le piante a uso degli animali, e gli animali a uso dell'uomo in forza dell'ordine stesso stabilito da Dio [Gen 1, 29 s.]: «Ecco che io ho dato come cibo a voi e a tutti gli animali ogni erba e ogni albero da frutto». E altrove [Gen 9, 3] si legge: «Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo». Analisi delle obiezioni: 1. Secondo l'ordine stabilito da Dio, la vita degli animali e delle piante non viene conservata per se stessa, ma per l'uomo.
  • Chi uccide il bue di un altro non pecca perché uccide un bue, ma perché danneggia un uomo nei suoi averi. Per cui questo fatto non è elencato tra i peccati di omicidio, ma tra quelli di furto o di rapina.
  • È lecito uccidere gli animali bruti in quanto essi sono ordinati per natura all'utilità dell'uomo, come le cose imperfette sono ordinate a quelle perfette. Ora, qualsiasi parte è ordinata al tutto come l'imperfetto al perfetto. E così la parte è per natura subordinata al tutto.
  • Qualora lo esiga la salute di tutto il corpo, si ricorre lodevolmente e salutarmente al taglio di un membro putrido e cancrenoso. Ora, ciascun individuo sta a tutta la comunità come una parte sta al tutto.[38] Quindi se un uomo con i suoi peccati è pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo [1 Cor 5, 6], «un po‘ di lievito fa fermentare tutta la pasta». (ST II-II, q. 64, a. 2)
  • Il Signore comanda di tollerare l'esistenza dei malvagi, rinviandone il castigo all'ultimo giudizio, piuttosto che uccidere con essi anche i buoni. - Quando invece la loro uccisione non costituisce un pericolo, ma è piuttosto una difesa e uno scampo per i buoni, allora è lecito uccidere i malvagi.
  • Col peccato l'uomo abbandona l'ordine della ragione: egli perciò decade dalla dignità umana, che consiste nell'essere liberi e nell'esistere per se stessi, finendo in qualche modo nell'asservimento delle bestie, che implica la subordinazione all'altrui vantaggio.
  • È lecito uccidere un malfattore in quanto la sua uccisione è ordinata alla salvezza di tutta la collettività. Ciò quindi spetta soltanto a colui al quale è affidata la cura della sicurezza collettiva: come spetta al medico, a cui è stata affidata la cura di tutto l'organismo, il procedere al taglio di un membro malato. (ST II-II, q. 64, a. 3)

Citazioni su Tommaso d'Aquino

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  • [In Paradiso] Lassù c'è san Tommaso, santo così flemmatico che, se un bue fosse entrato nella sua stanza, avrebbe continuato a studiare; e c'è anche san Giovanni Eudes, che si sentiva bollire d'ira al solo vedere un eretico. C'è Francesco di Sales, il santo delle belle maniere, artista nel parlare e nello scrivere; e c'è il Curato D'Ars, campione dei colpi di disciplina sulla propria schiena e delle patate mangiate colla muffa dopo una settimana dalla cottura. (Albino Luciani)
  • La visione teologica di Tommaso d'Aquino è allo stesso tempo contrassegnata da un'ovvia ecclesialità e da una sovrana apertura e libertà: ambedue vanno certamente assieme, ed è cosa tipica della cristianità medioevale. (Christoph Schönborn)
  • Nato di nobile famiglia napolitana, a cinque anni fu messo in educazione presso i Benedettini di Monte Cassino. Volendo poscia consacrarsi a Dio nell'ordine dei predicatori, i congiunti per impedirnelo il chiusero in una prigione; ove tentato gravemente da ribalde persone ad offendere la castità, ne riuscì vincitore dando mano a un tizzone acceso. Uscito poscia dal carcere e andato a Parigi, studiò teologia sotto il celebre Alberto Magno. (Giovanni Bosco)
  • Per lui [Duns Scoto], Enrico di Gand era più importante di Tommaso d'Aquino; per noi, e in sé, è vero il contrario. (Étienne Gilson)
  • Reca una somma maraviglia il vedere come mai quest'uomo distratto in tanti viaggi, occupato sempre negli esercizj della cattedra, e costantemente applicato alle opere di pietà, ed agli obblighi della sua professione, non essendo vissuto che 50 anni; pur nondimeno avesse potuto leggere un quasi infinito numero di scrittori sacri e profani, ne avesse saputo tanto sublimemente analizzare lo spirito, e disporne le dottrine con quella sua cotanto ammirabile precisione e chiarezza. (Francesco Colangelo)
  • Una volta, stando in Napoli, l'immagine di Gesù C. crocifisso gli parlò e disse: «Tommaso, scrivesti bene di me: qual mercede vuoi tu avere?» Rispose: «Non altra che te stesso, o mio Dio.»
    Sedendo un giorno a mensa con s. Luigi re di Francia, e ripassando in mente un punto di teologia, trovatane ad un tratto la soluzione, batté sulla tavola dicendo: «Questo è argomento, che abbatte l'eresia di Manete.» Avvertito dal suo superiore a badare che era in presenza del re, ne dimandò umile perdono; ma quel principe chiamò tosto un segretario, cui ordinò di scrivere i concetti del santo dottore. (Giovanni Bosco)
  • L'Angelico[39] trascura le questioni secondarie per attenersi alle centrali; e di queste vuol vedere la radice senza divagamenti, senza farragine di eloquenza, cercando il perché, la ragione delle cose.
  • È noto il giudizio, spesso ripetuto, che Tommaso è l'Aristotile cristiano, Bonaventura il secondo Agostino. Questo giudizio non deve essere esagerato: i due santi si completano e si uniscono nel modo più bello. Tommaso è l'Angelo della scuola, Bonaventura il Maestro della vita attiva. Tommaso illumina la mente, Bonaventura eleva il cuore, proprio come si distinguono le scuole dei due Ordini. La filosofia dei Domenicani accorda la superiorità alla mente, la scuola dei Francescani alla volontà; queste diverse vedute spesso si rivelano e sono messe in valore negli scritti dei due Dottori, nelle speculazioni teologiche e nelle questioni pratiche.
  • La causa di S. Tommaso si identifica con quella della Chiesa. Quando si attacca l'Angelico, si avverta o no, si colpisce la Chiesa; e quando si vuole puntare contro la Chiesa, senza farlo apparire, il bersaglio preferito è S. Tommaso d'Aquino e la sua filosofia.
  • La genialità dell'opera scientifica di S. Tommaso deve riconoscersi nel fatto che nessuno come lui ha tenuto conto dell'esigenze critiche della ragione nell'atto di credere; e nessuno ha dimostrato meglio l'elemento razionale della fede nell'atto di vendicarne la trascendenza soprannaturale. Come un sapiente architetto ha costruito l'edificio della sapienza cristiana con tutta la forza della ragione, e con tutto l'ossequio della fede, perché dell'insegnamento e della scienza ebbe un concetto altissimo.
  • S. Tommaso è più sobrio, più laconico; S. Bonaventura fecondo e prolisso. L'Aquinate preferisce il senso naturale e schietto delle parole; l'amico suo ama la metafora e le figure che rivestono fantasticamente il pensiero. L'Angelico resta il professore con la trasparenza di un pensiero e di un concetto che ritraggono le cose per quello che sono; il dottore di Bagnorea è il mistico che anche in una discussione scientifica mira a suscitare gli affetti ed è sempre un po' oratore.
  • Chi conosce San Tommaso ed è abituato a gustarne la sostanza di verità, la limpidezza di raziocinio, la precisione di metodo, e persino il «discreto latino» (come diceva Dante), che ha presente la magnifica architettura intellettuale rappresentata soprattutto dalla Summa [...], non può non considerare con malinconia il fatto del rinnegamento di San Tommaso da parte dei pensatori italiani e le loro conseguenti aberrazioni dal filone d'oro della tradizione filosofica ellenico-latina.
  • Contro l'attuale eclissi dei valori morali e la sopraffazione della persona umana che ne deriva in un mondo dominato da relativismo morale, San Tommaso indica nella coscienza come norma dell'azione la via del riscatto dell'uomo dalle potenze del secolo e della vittoria sulla tecnocrazia, sul materialismo, sulla statolatria, che negando la coscienza, hanno soffocato o asservito la persona umana.
  • Egli non fu né tradizionalista né razionalisteggiante; non si lasciò affascinare da soggettivismi intuizionistici né ridusse la vita intellettuale a cerebralismo; difese la ragione contro coloro che accentuandone la debolezza volevano dedurre l'impossibilità o il pericolo di una filosofia relativamente autonoma, ma fu egualmente deciso e forte nell'affermare la trascendenza della fede e l'altezza infinita dei misteri rivelati; ebbe una spiccata preferenza per Aristotele, proprio a causa della sua fedeltà ai dati più evidenti della ragione e del buon senso, ma non ne diventò un idolatra fino al punto di confondere con un sistema filosofico una religione divina.
  • Non sono mancati grandi pensatori italiani. Ricordiamo soprattutto Vico e, nel suo campo, Galilei. Ma quando si pensa che, anche più di costoro, dalle cattedre dello Stato venivano proclamati come numi del pensiero Giordano Bruno, Nicolò Machiavelli, Ardigò e molti altri anche recenti e viventi, dei quali si può dire che il titolo più valido per essere ricordati è quello di aver fatto epoca nella storia dello smarrimento intellettuale, ci si domanda che cosa abbiamo guadagnato, noi italiani, nel pensiero e nella vita, ad abbandonare e a bandire ostinatamente un pensatore [Tommaso d'Aquino] autenticamente nostro [...]; e quale insipienza ci abbia condotti a rinnegare un genio eccelso che, insieme con Dante (che di lui si alimenta), ci dava un primato insuperabile e una influenza insopprimibile nel mondo del pensiero.
  1. Da In Met., II, l. 1 n. 10.
  2. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 92. ISBN 9788858014165
  3. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 93. ISBN 9788858014165
  4. Dal Commento al "De trinitate" di Severino Boezio, proemio, q. 2, a. 3.
  5. Citato da «San Tommaso d’Aquino? Un maestro per ogni stagione della nostra fede», L'Avvenire, 7 marzo 2024
  6. Citato in Albino Luciani, Illustrissimi, p. 135, premessa di Igino Giordani, commento di Giovanni Mocchetti, Edizioni A.P.E., Mursia, Milano, 1979.
  7. Citato in Mario Canciani, Vita da prete, Mondadori, 1991, p. 7.
  8. Citato in Fulton J. Sheen, Tre per sposarsi, Edizioni Richter, Napoli, 1964.
  9. Citato in AA.VV., Il libro della politica, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2018, p. 64. ISBN 9788858019429
  10. Citato in Albino Luciani, Illustrissimi, premessa di Igino Giordani, commento di Giovanni Mocchetti, Edizioni APE Mursia, Milano, 1979.
  11. Da In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma, II, c. 8, l. 14, p. 268; citato in Rafael Martínez e Juan José Sanguineti, Dio e la natura, Armando Editore, Roma, 2002, pp. 75-76. ISBN 88-8358-373-6
  12. Citato in AA.VV., Il libro delle religioni, traduzione di Anna Carbone, Gribaudo, 2017, p. 229. ISBN 9788858015810
  13. Da In Met., XI, l. 3 n. 1.
  14. Citato in AA.VV., Il libro dell'economia, traduzione di Olga Amagliani e Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. xx. ISBN 9788858014158
  15. Da Comp. Theol. II, 8 – citato in von Balthasar, Sperare per tutti, Jaca Book, Milano, 1997, p. 55.
  16. Dal Commento al "De Trinitate" di Severino Boezio.
  17. Da Som. 1, 1, 1, 3; citato in Niccolò Tommaseo, Prefazione a Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, cap. IV, De' sinonimi, Vallardi, Milano, 18675, p. x.
  18. Da In ad Hebraeos, 7, 4: citato nel Compendio del Catechismo.
  19. Citato in Giuseppe Amelio, Salerno momenti storici: conoscere la città per viverci meglio, De Rosa & Memoli, 1996.
  20. Da Contra retrahentes, citato in Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino, traduzione e aggiornamento di Giorgio E. Carbone, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2006, p. 39. ISBN 88-7094-594-4
  21. Da Collationes (expositio) in orationem dominicam; citato in La preghiera cristiana: Il Padre Nostro, l'Ave Maria e altre preghiere, a cura di Pietro Lippini, Edizioni Studio Domenicano, 2011, p. 30. ISBN 88-7094-804-8
  22. Dal De Anima, III, l. 2 n. 9.
  23. Traduzione in Servio Marzio, Cum grano salis, Vallardi.
  24. Traduzione dall'Udienza generale di papa Giovanni Paolo II del 18 settembre 1985.
  25. Altra ricorrenza e diversa traduzione.
  26. Altro testo di Tommaso, con ulteriore differente traduzione italiana, in cui viene formulata l'identica locuzione latina. Nonostante ogni volta l'Aquinate l'attribuisca a Dionigi l'Areopagita (De divinis nominibus, capitolo IV), in realtà quest'ultimo ha formulato solo il concetto ma non la locuzione esatta.
  27. Citato in Joseph Rickaby, Dei cosiddetti diritti degli animali, traduzione di Paolo Garavelli, in Tom Regan, Peter Singer, Diritti animali, obblighi umani, Gruppo Abele, Torino, 1987, pp. 181-182. ISBN 88-7670-097-8
  28. Da La somma teologica, Edizioni Studio Domenicano, 1985, p. 88.
  29. Citato in Walter Peruzzi, Il cattolicesimo reale attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili, Odradek, Roma, 2008, p. 282.
  30. Citato in Nicola Porro, La disuguaglianza fa bene, Milano, Ed. Il Giornale, 2016, p. 261. ISSN 977-802102345-2
  31. Questione 49, art. 2: "Gli effetti della passione di Cristo", da La Somma Teologica, Terza parte, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1997; citato in Vincere il demonio, ifiglidellaluce.it.
  32. Citato in Tito Centi O.P., A. Zelio Belloni O.P., Somma teologica. Nuova edizione italiana, Documentacatholicaomnia.eu, 2009, p. 1066.
  33. Da Lettera ai Filippesi: capitolo 2, verso 3, Maranatha.it, traduzione C.E.I. del 1974.
  34. Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Libro VI, 12, a cura di Lucia Caiani, UTET, 1996, pp. 359-360. ISBN 88-02-049942-4
  35. san Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III Sent., dist. 3 q.I a.I q.2. Citato in Norberto Del Prado, Divus Thomas et Bulla dogmatica "Ineffabilis Deus", 1919 (1°ed.ne) , ristampato nel 2018 da Facsimile Publisher, Delhi (IN), ISBN 8888007039405, pag. 17 (di 375)
  36. Citato in Norberto Del Prado, Divus Thomas et bulla dogmatica "Ineffabilis Deus", Internet Archive, 1919, pp. 9-10. L'edizione riporta l'imprimatur di Frate Leonardus Lehu, Vic. Magistri Generalis O.P.
  37. Citato in padre Tito S. Centi, padre Angelo Z. Belloni, Somma Teologica. Nuova edizione italiana, Documentacatholicaomnia.eu, Fiseole, 2009, p. 2389.
  38. [Proporzione]
  39. Tradizionale epiteto di Tommaso.

Bibliografia

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  • Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana.
  • Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Città Nuova Editrice, Roma 2002.

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