Vittorio Pozzo

allenatore di calcio, calciatore e giornalista italiano (1886-1968)

Vittorio Pozzo (1886 – 1968), allenatore di calcio, calciatore e giornalista sportivo italiano.

Vittorio Pozzo (1920)

Citazioni di Vittorio Pozzo

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  • [Su Giuseppe Meazza] Averlo in squadra significava partire dall'1-0.[1]
  • [Nel 1928] Che fiducia si possa riporre pienamente in elementi nostrani per la disciplina, l'insegnamento e l'organizzazione del gioco è dimostrato da un esempio per tutti: Carcano dell'Alessandria.[2]
  • [Sul Grande Torino, nel 1959] Era una grande squadra, quella caduta lassù sul colle. Una squadra come ve ne furono poche prima – e nessuna poi – in Italia e nel mondo. Una squadra, tutta di amici, che, quando veniva messa a dura prova, giuocava come diretta dalla bacchetta di un ispiratore. Era forte in quanto a valore dei singoli, ma più forte ancora come assieme, come coesione, come intesa fra uomo e uomo. Faceva blocco su campo di gioco e nella vita civile: volle far blocco nella morte.[3]
  • [Su Pietro Rava] Il più potente terzino del mondo.[4]
  • [Sul Catania 1960-61] L'uomo che lo allena è un prototipo di questa forza morale: Di Bella è un esempio di come la semplicità possa, in certi momenti critici, prevalere sulle forze complesse. È un ragazzo semplice, Di Bella, un ragazzo d'oro. Il contributo che sta portando al calcio italiano in questo complesso periodo di vita è più che notevole.[5]
  • [Sul Quinquennio d'oro] La Juventus, società dai dirigenti sagaci, dall'ambiente organizzato, dai giuocatori di classe, ha vinto con una squadra che è al suo tramonto, forse il suo più bel campionato. Bello perché è l'intelligenza che lo illumina. La calma, l'accortezza, il freddo calcolo, la precisione sfoderate dal più che trentatreenne Rosetta a Firenze sono l'indice della forza della squadra, la base prima dei suoi successi. È difficile, terribilmente difficile vincere un campionato in Italia. Di questa competizione noi siamo riusciti a fare una fornace ardente. Una fornace che è una meravigliosa fucina di energie fisiche e morali, ma in cui il cammino da battere non si riesce a discernerlo se non si posseggono qualità di eccezione. Una compagine mediocre, il campionato italiano non lo vincerà mai. Queste doti di eccezione, gli uomini che compongono la vecchia squadra della Juventus le possedevano, le han possedute finora nella misura necessaria. Passeran degli anni prima che questi uomini, che tante soddisfazioni han contribuito a dare all'Italia calcistica, vengano dimenticati.[6]
  • [Sulla prima partita della Nazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale] Mi recai subito a Milano e feci senz'altro le obiezioni che era il caso di fare: era impossibile dopo tre anni e mezzo di riposo, ricostruire di colpo la squadra, non sapevo nemmeno in quali condizioni si trovassero i giuocatori, e per parecchi esisteva anche la difficoltà di reperirli. Eppoi non si aveva il tempo per una preparazione nemmeno sommaria. I soli uomini su cui fossi in qualche modo informato e documentato, erano quelli del Torino e della Juventus, che io vedevo qualche volta all'opera. «Ve n'è a sufficienza», fu la risposta che io ricevetti. D'altronde non si trattava di fare le cose in grande stile. L'offerta ci era arrivata fra capo e collo all'improvviso, perché la Svizzera si era vista disdire di punto in bianco un impegno che essa aveva con una rappresentante di un altro Paese. Aveva la data libera, ed aveva pensato a noi, convinta di renderci un grande servizio perché erano parecchi i delegati dei Paesi che in quel particolare momento tramavano per metterci all'indice, avendo per motivazione il nostro contegno nella prima parte della guerra. Ci si voleva "boicottare", escludere per qualche anno dalle competizioni internazionali. Si trattava secondo gli svizzeri, di mettere gli interessati davanti al fatto compiuto, giuocando prima che una decisione contraria fosse presa. Si trattava di prendere o lasciare. Avevo torto io.[7]
  • Non so ancora se il Silvio [Piola] calcia meglio col destro o col sinistro, tanto è bravo. Di testa è molto forte nella scelta di tempo. Ma non ho visto nessuno come lui in rovesciata, in spaccata.[8]

La Stampa

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Su Adolfo Baloncieri] Con la sua andatura caratteristica scattava dalla posizione arretrata che è solito assumere, sguasciava via all'avversario, ed un suo tocco della palla generava un attacco, inscenava un'avanzata.[9]
  • Un gladiatore fu Caligaris. L'energia e la volontà personificata. Il combattente nato. L'ambizione stessa che aveva di emergere, lo portava ad affrontare qualsiasi sacrificio, a fermamente volere, a correre qualunque rischio. Sul campo era un trascinatore, colla parola e coll'esempio. I suoi lineamenti duri, angolosi, volitivi – il fronte sempre bendato da un fazzoletto – trovavano diretta corrispondenza nei suoi atteggiamenti sul campo. Ambidestro, possedeva un rimando di una potenza spettacolosa. La specialità sua era il rinvio a forbiciata, per cui rimaneva un istante in aria come se stesse per spiccare il volo. Veloce, sicuro di se, deciso, non c'era avversario, per duro che fosse, che gli incutesse timore.[10]
  • [Sul Maracanazo] È stata una giornata di apoteosi del calcio. Non abbiamo mai assistito ad un avvenimento calcistico di tanta grandiosità. Basti dire che arrivati sul campo, per misura di precauzione, alle ore 11 (l'inizio era per le 16) l'abbiamo trovato già pieno. La folla l'aveva riempito come diversi rivoli d'acqua riempiono una vasca.[11]
  • Quando le squadre entrano in campo, sembra salutarle la statua del Redentore Carcovado che brilla nel sole sopra il campo. Avviene una scena indescrivibile. La folla sembra in preda ad un furore di esaltazione; noi europei non abbiamo idea di quello che siano più di centocinquantamila persone che urlano congestionate fra il ripetersi degli spari che stendono ad un certo punto sullo stadio un sottile velario di fumo.[11]
  • Mentre il gioco si svolgeva, uno spettacolo a sé lo offriva pubblico sempre più nervoso, deluso, ora tutto un'esplosione di entusiasmo ora scorato, con reazioni violente contro i proprii giocatori e principalmente contro il mediano sinistro Bigode che appariva in cattiva giornata. Il fischio della fine del primo tempo stato accolto in silenzio e pure in silenzio è trascorso l'intervallo del riposo. Forse la folla già aveva la sensazione che le cose stavano mettendosi male. Quando le squadre rientrano in campo l'applauso è debole, come sfiduciato.[11]
  • Le tredici squadre che hanno preso parte ai gironi finali del Campionato del Mondo del 1950, possono essere suddivise in due gruppi: le europee e le sudamericane. Nessuna offesa alle unità degli Stati Uniti e del Messico se le si lascio fuori causa in queste considerazioni. [...] Il confronto tecnico è avvenuto fra Europa e Sud America: la prima mettendo in campo sei rappresentanti, Inghilterra, Svezia, Spagna, Italia, Svizzera e Jugoslavia, la seconda allineandone cinque, Brasile, Uruguay, Paraguay, Cile e Bolivia. Le circostanze hanno voluto che appunto due squadre per ognuno dei due raggruppamenti fossero le designate per il girone finale. Quell'idioma universale che è il giuoco del calcio viene appunto interpretato e parlato in modo differente nel mondo nuovo e nel mondo vecchio. La differenza prima, la differenza vera e basilare che è emersa dalla serie di incontri che si sono disputati nelle diverse città del Brasile dal 24 giugno al termine del torneo, è questa: la forza principale delle squadre europee è di carattere tattico, si basa sul giuoco d'assieme; la forza basilare delle squadre sudamericane è di natura tecnica, trae origine dal virtuosismo individuale Da noi, ci si lambicca il cervello per dare ai giuocatori una intesa e per conferire al giuoco un assieme; qui le capacità personali dei singoli elementi prevalgono e le squadre non sono schiave di nessun tema o schema preconcetto, o per lo meno lo sono in misura infinitamente inferiore a quello che vige da noi. In Europa, le squadre scendono in campo con un piano elaborato e ad esso si attengono o cercano di attenersi; in America il senso di improvvisazione ed i valori singoli si impongono e finiscono sempre per avere libero sfogo. Ne consegue, che le compagini qui giunte d'oltremare hanno assunto, nel torneo, un aspetto di attività stridentemente compassato, rigido, quasi statico nel confronto con quanto operato dalle unità locali.[12]

Citazioni su Vittorio Pozzo

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  • Il commissario unico era un ufficiale degli alpini e un fascista di regime. Vale a dire uno che apprezzava i treni in orario ma non sopportava gli squadrismi, che rendeva omaggio al monumento degli alpini ma non ai sacrari fascisti. (Giorgio Bocca)
  • Se ripenso ai raduni di quella nazionale nella mia città, a Cuneo, faccio fatica a credere in tanta modestia. La imponeva Vittorio Pozzo, un tipo di alpino e salesiano arrivato chissà come alla guida degli azzurri senza essere né un allenatore di professione né un burocrate dello sport ma semplicemente un piemontese risorgimentale ciecamente convinto delle virtù piemontesi. Uno di quelli per cui la parola sacra è "ël travai". (Giorgio Bocca)
  • Vittorio Pozzo era riuscito a gestire la nazionale, che pure il regime voleva usare come strumento di propaganda, tenendola abbastanza lontano dalle pressioni e dalle tresche dei gerarchi. [...] Pozzo non fu antifascista, né mai pretese di esserlo, ma non fu nemmeno banditore troppo strumentalizzato da parte del potere. [...] Forse quello fu l'unico modo per evitare che la sua squadra diventasse la Nazionale di Mussolini. (Gianpaolo Ormezzano)
  1. Citato in Campioni del mondo. Quarant'anni di storia del calcio italiano, CEN, Roma 1968.
  2. Da Il Mestiere del "Trainer", Lo Sport Fascista nº 5, ottobre 1928, p. 25.
  3. Da Incontro sulla collina, 1959; citato in Li trovai senza scarpe come soldati morti in guerra, Guerin Sportivo (Bologna), 1989.
  4. Citato in Emilio Marrese, Una cosa tonda che pesava, la Repubblica, 20 novembre 2005.
  5. Citato in Antonio Buemi, Carlo Fontanelli, Roberto Quartarone, Alessandro Russo, Filippo Solarino, Tutto il Catania minuto per minuto, GEO Edizioni, Empoli, 2010, p. 193.
  6. Da La Stampa, 4 giugno 1935; citato in Angelo Carotenuto, 1935. L'altra Juve dei 5 scudetti: cosa si scrisse, repubblica.it, 26 aprile 2016.
  7. Citato in Nicola Sbetti, Giochi diplomatici. Sport e politica estera nell'Italia del secondo dopoguerra, Viella, 2020.
  8. Citato in Bruno Perucca, Tutte le qualità degli attaccanti migliori, La Stampa, 5 ottobre 1996, p. 23.
  9. Da Onorificenze e sportivi: Baloncieri, 20 aprile 1930, p. 5.
  10. Da Un gladiatore, 20 ottobre 1940, p. 2.
  11. a b c Da Doccia fredda uruguajana sulla fama del Brasile: 2-1, 17 lugio 1950, p. 4.
  12. Da L'estro del gioco uruguaiano, 18 luglio 1950, p. 4.

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