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fendere la sua paternità, acciò che per sua colpa sancto Francesco nollo privasse della sua compagnia. Giugnendo dunque a lui sancto Francesco, e’ domandollo: — Chi se’ tu? — E frate Lione, tutto tremante, rispose: — Io sono frate Lione, padre mio. — E sancto Francesco a lui: — Perché venisti qua, frate pecorella? Non t’ò io detto che tu non mi vada osservando? Dimmi per santa obbedienza se tu vedesti o udisti nulla? — Rispose frate Lione: — Padre, io t’udii parlare e dire piú volte: Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio, e chi sono io vermine vilissimo, e disutile servo tuo? — Et allora inginocchiandosi frate Lione dinanzi a sancto Francesco, si rendé in colpa della disubbidienza ch’elli avea fatta contro allo suo comandamento; e chiesegli perdonanza con molte lagrime. Et espresso sí lo priega divotamente che gli sponga quelle parole ch’elli avea udite, e dicagli quelle ch’elli non avea intese. Allora, veggendo sancto Francesco che Iddio allo umile frate Lione per la sua simplicità e purità avea revelato overo conceduto di vedere alcune cose, sí gli condiscese a rivelargli et isporgli quello ch’elli adomandava, e disse cosí: — Sappi, frate pecorella di Jesú Cristo, che quando io diceva quelle parole che tu udisti, allora erano mostrati all’anima mia due lumi, l’uno della notizia e conoscimento dello Criatore; l’altro dello conoscimento di me medesimo. Quando diceva: Chi se’ tu, dolcissimo Iddio mio, allora io era in un lume di

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