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I Vicerè 119

così!... Perchè l’ha con me? Pel testamento di nostra madre? Fa’ così per giocar di prima? Ha dunque ragione lo zio don Blasco?... Ha sentito, ha sentito Vostra Eccellenza, che ha fatto adesso?

— Che ha fatto?

— Non vuol riconoscere il legato alla badia di San Placido!... Abbiamo trovato Angiolina che piangeva e la badessa che gettava fuoco e fiamme!... Vuol far lui tutte le carte, e ci tratta poi così, d’alto in basso, per avvilirci tutti quanti....

— Piano!... Basta, per ora.... — il duca tornava a raccomandarsi, per amor della pace. — Basta!... Vieni a desinare, per ora.... Ti prometto che poi gli parlerò io....


Raimondo non era ancora rientrato quando tutta la famiglia, con l’assistenza di don Mariano, prese posto a tavola. Lucrezia aveva gli occhi ancora rossi, teneva il capo chino, non diceva una parola; ma il principe, fattosi improvvisamente sereno in vista, rivolgeva cortesie allo zio duca. Tutti i giorni così: dopo lunghe ore di mutria, di silenzi, di voltate di spalle al sopravvenire dei fratelli e delle sorelle e più della cognata Matilde, egli smetteva a tavola la ciera accigliata, per corteggiar lo zio. Non era la prima volta che il desinare cominciava senza Raimondo, e al malumore di Lucrezia faceva riscontro, quel giorno, un pensiero molesto sulla fronte della contessa Matilde.

Non le facevano festa, in quella casa. Il principe, donna Ferdinanda, don Blasco, un po’ anche la cugina Graziella, dovevano trovare in lei colpe imperdonabili, se la punzecchiavano assiduamente, se la trattavano senza riguardi; ma ella perdonava le mancanze di riguardo e gli sgarbi fatti a lei; non soffriva quelli che toccavano a suo marito. Forse era questa la sua grande colpa: l’amore che portava a Raimondo!... Lo amava fin da quando lo aveva visto, da prima ancora; fin da quando, fidanzata per lettera a quel conte di Lumera del quale

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