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394 I Vicerè

la mano dal mucchio di sassi dove stavano sdraiati; i cenciosi bambini che li accompagnavano correvano dietro alle carrozze se da qualcuna di esse cadeva un soldino nella polvere dello stradale. E i pedoni riconoscevano i signori fuggenti, se ne ripetevano il nome, spaventati all’idea del vuoto della città: «il principe di Roccasciano!... La duchessa Radalì!... I Cùrcuma!... I Grazzeri!... Non resterà dunque nessuno?...»


Verso sera, quando l’ardore della giornata si temperò, tre carrozze padronali scappanti una dietro all’altra sollevarono una gran nuvola di polvere dalla città al Belvedere. Nella prima c’era il principe di Francalanza, donna Ferdinanda e la cugina Graziella, invitata alla villa perché non poteva andar sola alla Zafferana, e il principino Consalvo a cassetta, che brandiva trionfalmente la frusta, quantunque portasse ancora la tonaca benedettina perchè suo padre s’era deciso a riprenderlo in casa proprio all’ultimo momento, quando i monaci s’eran dispersi e don Blasco e il Priore avevano anch’essi chiesto ospitalità al palazzo. Nella seconda carrozza stava la principessa, senza nessuno a fianco nè dirimpetto e solo la cameriera nell’angolo opposto. Il contatto d’una spalla l’avrebbe fatta cadere in convulsione, perciò s’era dichiarata contentissima che il principe accompagnasse la cugina. L’altra carrozza era invece stipata: c’erano il marchese e Chiara, Rosa col bambino e finalmente don Blasco. Questi aveva rifiutato per la campagna l’ospitalità del principe e accettata quella del marchese, allo scopo d’evitare la sorella Ferdinanda; l’avversione non cedeva neppure dinanzi al pericolo del colera, gli faceva preferire la compagnia del bastardello. Il Priore, invece, era rimasto in città, al vescovato, dove Monsignore lo aveva accolto a braccia aperte: tutte le preghiere e gli inviti dei parenti non erano valsi a farlo fuggire; il suo posto, diceva, era al capezzale degli infermi, accanto a Monsignore. Le maggiori insistenze gli

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