Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 230 — |
armato del barone che mirava al buio, — è fra Girolamo, che non vuol esser visto da queste parti! — Appena si udì richiudere l’uscio, nel vano del quale era balenata una sottana bianca, il farmacista borbottò col fiato ai denti: — L’abbiamo scappata bella, parola d’onore! — Il barone invece strinse forte il braccio di don Gesualdo senza dir nulla. Poi lasciò andare ciascuno per la sua strada, Bomma in su, verso la Piazza Grande, il canonico a piè della scalinata che saliva a San Sebastiano. — Da questa parte, don Gesualdo... venite con me. — E gli fece fare il giro lungo pei Cappuccini, risalendo poi verso Santa Maria di Gesù per certe stradicciuole buie che non si sapeva dove mettere i piedi. A un tratto si fermò guardando faccia a faccia il suo amico novello con certi occhi che luccicavano al buio.
— Don Gesualdo, avete sentito quante belle chiacchiere? Adesso siamo tutti fratelli. Nuoteremo nel latte e nel miele, d’ora in poi... Voi che ci credete, eh?
L’altro non disse nè sì nè no, prudente, aspettando il seguito.
— Io no... Io non mi fido di tutti questi fratelli che non mi ha partorito mia madre.
— Allora perchè siete venuto, vossignoria?
— Per non farci venire voi, caspita! Io non fo misteri. Giuochiamo a tagliarci l’erba sotto i piedi fra di noi che abbiamo qualcosa da perdere, ed ecco il