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e in cuor suo si pentiva di avere trattenuta l’Emma, pensando che, se il giovine l’avesse trovata sola, certo le avrebbe detto qualcosa di meglio.
Emma, a sua volta, intendendo la situazione, avrebbe voluto essere a mille miglia, e diceva appena qualche parola, indignata e quasi sbigottita dalle occhiate incendiarie con cui il cancelliere la investiva.
Se faceva la corte all’Annetta, perchè guardava lei?
Lei non sapeva che farsene di cose a metà!
E cercava un pretesto per allontanarsi.
A un tratto, ella ebbe come una ispirazione.
— Devo dire una cosa alla Teresa — brontolò a mezza voce, e scappò nella stanza del portiere, lasciando i due in libertà.
Annetta arrossì e impallidì, spaurita e felice.
Il cancelliere corrugò le olimpiche sopracciglia, e senza badare alla visibilissima commozione della sua troppo tenera ammiratrice, le domandò, accennando alla porta dove era entrata quell’altra:
— È sua sorella?...
Offesa nell’amor proprio, ferita nel più intimo del cuore, la ragazzona sputò un po’ del veleno che tanto l’amareggiava.
— Ma che!... Mia sorella? Io non ho sorelle. Questa è una povera abbandonata che la mamma ha raccolto e che noi si mantiene per carità.
S’interruppe, stupita lei stessa di quelle parole così acri e sprezzanti. Quasi terrorizzata dallo sguardo