Francesco Hayez

pittore italiano (1791-1882)

Francesco Hayez (AFI: /franˈʧesko ˈajeʦ/[2]; Venezia, 10 febbraio 1791Milano, 12 febbraio 1882) è stato un pittore italiano.

Francesco Hayez, Autoritratto a 71 anni (1862); olio su tela, 125,5×101,5 cm (Uffizi)

«E l'opera sua è la Consacrazione della Vita ...»

Passato dalla temperie neoclassica a quella romantica (della quale è stato il maggiore esponente in Italia), Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico, lasciando un segno indelebile nella storia dell'arte italiana per essere stato l'autore del dipinto Il bacio e di una serie di ritratti delle più importanti personalità del tempo. Molte sue opere, solitamente di ambientazione medioevale, contengono un messaggio patriottico risorgimentale criptato.

Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, conseguendo numerosissimi uffici e dignità; tra queste, degna di menzione è la cattedra di pittura all'Accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.

Le fonti

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Frontespizio della prima versione delle Memorie di Hayez, pubblicata nel 1890

La più completa fonte primaria sulla vita e l'attività dell'Hayez sono le Memorie, che egli stesso dettò a intervalli all'amica Giuseppina Negroni Prati Morosini tra il 1869 e il 1875. Siamo davanti a un interessante esempio di autobiografia, intenso e ricco di aneddoti, considerazioni personali e note di costume che, abbracciando il periodo compreso tra il 1791 e il 1838, appare essere «la conclusione di una lunga strategia della costruzione dell'immagine dell'artista quale Hayez si può dire abbia perseguito da sempre».[3] Raffaello Barbiera, assiduo frequentatore sia dell'Hayez sia della nobildonna meneghina, lasciò una vivida descrizione delle circostanze che condussero alla redazione dell'opera:[4]

«La contessa Giuseppina lo eccitava [...] a scrivere le sue memorie; ma l'autore del Bacio, aveva, si sa, più facile il pennello che la penna. Un bel giorno, l'amica sua si risolse a scriverle lei quelle ricordanze d'arte e di vita, facendosele dettare a poco a poco dal pittore. E così fu: il vecchissimo artista dalla immacolata canizie, seduto su un seggiolone parlava e la contessa scriveva»

Alla morte dell'amico artista, la Morosini fece dono delle Memorie all'Accademia di Brera il 3 aprile 1890, adempiendo alle volontà espresse dallo stesso Hayez. La genesi editoriale dell'opera si articola in due manoscritti: l'uno integrale, pubblicato come Le mie memorie a Milano nel 1890 con una prefazione di Emilio Visconti Venosta, e l'altro opportunamente rimaneggiato e ritoccato, edito con lo stesso titolo da Fernando Mazzocca nel 1995.[5][N 1]

Biografia

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L'infanzia e l'adolescenza

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«Nacqui in Venezia il giorno 10 febbraio 1791 nella parrocchia di S. Maria Mater Domini»: è lo stesso Hayez a parlarci della sua nascita, nell'incipit nelle sue Memorie. Mentre sulla fanciullezza dell'artista sono stati versati fiumi d'inchiostro, sulle sue vicende familiari non ci sono pervenute molte notizie: sappiamo che la madre era la muranese Chiara Torcellan, e che il padre Giovanni era un pescatore originario di Valenciennes. In ogni caso, la sua famiglia originaria - che comprendeva altri quattro fratelli - era poverissima, e segnata da vicissitudini e sofferenze: per questo motivo, il piccolo Francesco fu affidato a un'agiata zia materna di Milano, sposata con Francesco Binasco, disinvolto antiquario e collezionista di opere d'arte.[5]

 
Francesco Maggiotto, Autoritratto con gli studenti Antonio Florian e Giuseppe Pedrini, 1792. Maggiotto fu uno dei primi precettori del giovane Hayez

Da allora in poi trascorse la fanciullezza e l'adolescenza presso la dimora meneghina degli zii, dai quali ricevette anche una prima educazione: Francesco Binasco, intuendo il precoce talento artistico del nipote, lo introdusse infatti all'esercizio della pittura, con l'auspicio di indirizzarlo nella branca del restauro, così da impiegarlo presso la propria mercatura. Contemporaneamente, il giovane Francesco si accostò alle lezioni di disegno impartite da un certo Zanotti per poi passare, alla morte di quest'ultimo, alla scuola tardosettecentista del veneziano Francesco Maggiotto. Qui, sotto la guida del Maggiotto, acquistò una vasta cultura figurativa e letteraria, divorando libri di carattere mitologico e storico, e avendo modo di studiare alcuni dei grandi maestri veneti del Settecento, da Giambattista Tiepolo e Sebastiano Ricci a Francesco Fontebasso e Giovanni Battista Piazzetta. Uno, in particolare, era l'artista prediletto, Gregorio Lazzarini: da quest'ultimo ricevette un'impronta profonda, tanto da fondare il proprio stile sulla sua maniera chiara e levigata.[5]

Terminato l'apprendistato presso il Maggiotto, lo zio Binasco decise di valorizzare ulteriormente le doti pittoriche del nipote: fu così che Hayez venne allocato sotto la guida di Filippo Farsetti, che aveva radunato presso il proprio palazzo sul Canal Grande una considerevole raccolta di gessi, tratti dalle statue antiche più famose. Hayez, per l'appunto, dedicò buona parte del suo tempo alla copia dei modelli in gesso della ricca collezione del Farsetti, mentre la sera si recava alla scuola di nudo presso la vecchia Accademia di belle arti di Venezia. Qui strinse amicizia con il pittore Lattanzio Querena, con il quale si interessò allo studio della pittura a colori; il 1º aprile 1805 arrivò addirittura a confermare la propria fama in ascesa, vincendo il primo premio per il disegno di nudo.[5]

Nel segno di Canova e di Raffaello Sanzio

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Francesco Hayez, Laocoonte (1812); olio su tela, 246x175 cm, Milano, Accademia di Belle Arti di Brera

Quando nel 1806 Venezia cadde nell'orbita francese, divenendo una provincia del neocostituito Regno d'Italia napoleonico, la sede dell'Accademia venne spostata nel complesso della Carità; il conte Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia dal 1808, darà un impulso che si rivelerà decisivo per la fortuna dell'Hayez. In ogni caso, qui seguì il corso di Teodoro Matteini, al quale venne assegnata la cattedra di pittura di storia. Fu in questi anni, tra l'altro, che Hayez condusse le sue prime esperienze artistiche, realizzando un'Adorazione dei magi, dipinta entro il 1809 su commissione dei padri armeni della parrocchiale di Lussingrande (in croato Veli Lošinj), e un Ritratto della famiglia del pittore.

Sempre nel 1809 l'Hayez partecipò a un concorso indetto dall'Accademia per l'«alunnato di Roma» risultandone vincitore a pieni voti, e perciò titolare di una borsa di studio e di pittura di durata triennale nella laboriosa officina artistica capitolina.[N 2] Hayez si trasferì nell'Urbe l'ottobre dello stesso anno, accompagnato dal collega Odorico Politi, dallo zio Binasco e, soprattutto, da una serie di lettere commendatizie redatte dal conte Cicognara, tese a elogiare caldamente il talento del suo giovane protetto ad Antonio Canova e al cardinale Ercole Consalvi. Era il 28 aprile 1812 il giorno in cui Cicognara, in un'epistola inoltrata all'amico Canova, gli comunicò infatti la sua ambizione di vedere in Hayez un interprete delle ispirazioni nazionali, in grado di dare nuova linfa alla grande pittura italiana: «Oh per Dio che avremo anche noi un pittore; ma bisogna tenerlo a Roma ancora qualche tempo, e io farò di tutto perché vi rimanga».

Trasferitosi a Roma solo dopo aver fatto tappa a Bologna, Firenze e Siena, Hayez ebbe subito modo di presentarsi ad Antonio Canova, detentore all'epoca di numerosissimi uffici,[N 3] che lo accolse molto calorosamente. Con ogni probabilità, la conoscenza diretta col Canova (e col suo collaboratore Antonio D'Este) contribuì ad aprirgli le porte delle maggiori collezioni romane: Hayez fu ai Musei Capitolini e al Museo Chiaramonti, ove poté studiare la statuaria greco-romana ivi raccolta. Per tramite di Vincenzo Camuccini, inoltre, l'artista ottenne il permesso di recarsi anche alle Stanze Vaticane, dove poté mettersi direttamente a confronto con il plastico pittoricismo delle figure di Raffaello Sanzio. A quest'intensa attività di perfezionamento artistico l'Hayez alternò gli svaghi e le frequentazioni concesse dalla vita di città, ricca di fermenti e suggestioni culturali. Fra i suoi amici romani vi sono le più eminenti personalità artistiche del tempo: Pelagio Palagi, Tommaso Minardi, Dominique Ingres, Bartolomeo Pinelli e Friedrich Overbeck, fra quelli espressamente citati nelle Memorie.[5] Lo stesso pittore ammise più tardi: «dirò che chi mi vedeva allo studio e poi in compagnia avrebbe trovato due uomini ben diversi».[6]

Francesco Hayez, Rinaldo e Armida (1812-1813); olio su tela
Francesco Hayez, Ulisse alla corte di Alcinoo (1814-1815); olio su tela, 381×535 cm

I primi successi

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Frattanto, gli entusiastici incoraggiamenti del Canova indussero Hayez a partecipare nel 1812 a un concorso bandito dall'Accademia di Brera per la realizzazione di un'opera d'arte incentrata sull'impegnativo tema classico del Laocoonte. Hayez realizzò una tela dalle solide qualità pittoriche; ciononostante, la giuria lo premiò ex aequo con una ben più modesta opera di Antonio De Antoni, protetto dall'influente Andrea Appiani, membro dell'Accademia meneghina e premier peintre di Napoleone Bonaparte. Si trattò questa di una cocente delusione, ma soprattutto della «prima vera, importante affermazione pubblica di Hayez sulla scena nazionale, alla quale fecero seguito altri successi nel giro di pochi anni» (Di Monte). Nell'estate del 1813 mandò all'Accademia di Venezia - a titolo di saggio finale dell'alunnato - la grande tela raffigurante Rinaldo e Armida, permeata di spiriti romantici e coloristici. L'opera, che rappresenta un'intima rielaborazione della lezione veneta di Tiziano Vecellio filtrata attraverso il classicismo canoviano, fu molto gradita agli accademici veneziani, trovando un fervente ammiratore in Cicognara, che così concesse al borsista il quarto anno di alunnato e un generoso sostegno economico. Hayez coronò le speranze del proprio mentore vincendo il 17 maggio 1813 l'ambito primo premio del concorso del cosiddetto «Mecenate Anonimo» (indetto dall'Accademia di San Luca) con la realizzazione dell'Atleta trionfante.[5] Qui i riferimenti alla statuaria classica e canoviana si fanno ancora più marcati, a prova di come l'artista sia in grado di «selezionare oculatamente i propri referenti figurativi e calibrare specifiche inflessioni stilistiche anche in vista di particolari circostanze» (Di Monte).

Questa fu anche l'epoca del primo amore. Essendo stato accolto da Giuseppe Tambroni, console al servizio del Regno Italico, nell'elegante palazzo Venezia, Hayez ebbe modo di conoscere la giovane figlia sposata del maggiordomo dell'ambasciata, e di instaurarvi una relazione clandestina. L'intera vicenda, quando la cosa si seppe, suscitò un tale scandalo che l'artista venne assalito proditoriamente dal marito della giovane amante. Per sopire questi dissapori, Canova impose al proprio protégé di lasciare Roma e di recarsi a Firenze, dove però rimase ben poco: già il 17 marzo 1814, Gioacchino Murat, su interessamento del ministro dell'Interno Giuseppe Zurlo, gli commissionò la realizzazione di un quadro, con prezzo e soggetto a discrezione del Cicognara, conferendogli pure un assegno di 50 scudi pontifici mensili per un anno.[5] Con il consenso del Canova, Hayez fece repentinamente ritorno nella città eterna, riprendendo un tema al quale stava già lavorando in precedenza: Ulisse alla corte di Alcinoo, dal sapore squisitamente omerico. Malauguratamente il regno di Murat cadde nel 1815, quando la tela non era ancora stata condotta a termine: ciò malgrado, Ferdinando I si offrì comunque di acquistarla per sistemarla nel museo di Capodimonte, ove è esposta dal 1816.[7]

L'intermezzo lagunare

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Piccolo ritratto privato di Vincenza Scaccia, 1816 (17x22,5 cm)[N 4]

Nel frattempo, Hayez incominciò a frequentare la casa della famiglia Scaccia. Di una dei componenti di quest'ottima famiglia borghese l'artista s'invaghì perdutamente: era costei Vincenza, fanciulla dolce e di buoni costumi. Il matrimonio fu celebrato il 13 aprile 1817 nella chiesa di Santa Maria in Via; ma già immediatamente dopo le nozze i novelli sposi lasciarono Roma per recarsi a Venezia. Il distacco dall'Urbe fu voluto dal Cicognara, che chiamò a sé la giovane promessa per rendere omaggio in chiave artistica all'imperatore Francesco I d'Austria in occasione delle sue nozze (le quarte: 1816) con Carolina Augusta di Baviera. Fu quindi in onore alla nuova imperatrice d'Austria che Hayez dipinse la Pietà di Ezechia, raffigurante il noto episodio biblico; quest'opera (oggi andata perduta) venne fatta esporre insieme al Ritratto della famiglia Cicognara, che l'artista realizzò memore dell'ineguagliabile beneficio ricevuto dal proprio protettore.[8]

In ogni caso, durante la permanenza nella città lagunare Hayez e la consorte trovarono temporaneo rifugio presso gli zii Binasco, per poi trasferirsi in casa della sorella del pittore, nell'imminenza di un eventuale ritorno a Roma. Ciò, tuttavia, non accadde: Hayez, infatti, decise di accogliere la proposta fattagli dell'amico Giuseppe Borsato, noto pittore d'ornati, che gli propose di inserirsi nelle vaste imprese decorative da compiersi nelle dimore veneziane e padovane più prestigiose. L'artista accettò con particolare entusiasmo, anche perché v'intravide la possibilità di migliorare la propria situazione economica. Questo, in effetti, fu un periodo nel quale Hayez venne febbrilmente assorbito nell'attività di decoratore, che lo vide impegnato dal 1818 al 1821. Ben presto, tuttavia, si vide costretto a cessare questa pur lucrosa attività, in quanto poco qualificata dal punto di vista culturale: «quel lavoro era tale da non rendermi contento perché essendo di sola decorazione non potevo fare quegli studi necessari per avanzare nell'arte», scrisse.[9]

Fu in questo momento quindi che l'Hayez, scostandosi dai soggetti mitologici e classici in voga al tempo, si accostò al filone, a lui più congeniale, della pittura di soggetto storico, con la stesura di una tela che sarebbe stata uno degli incunaboli degli umori ribollenti del Romanticismo: Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, primo quadro di soggetto storico-medievale della sua produzione pittorica.[10]

L'esordio milanese

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Francesco Hayez, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri (1818-1820); olio su tela, 157,5×131 cm

Per riprendere tra le mani il proprio destino, dedicandosi all'impegnata branca della pittura a tema storico, Hayez comprese che avrebbe dovuto lasciare Venezia e recarsi a Milano, che serbava tracce di un grandissimo fervore artistico che vi accentrò artisti di grande nome, primi tra tutti Andrea Appiani e Giuseppe Bossi, e che trovava espressione nelle promettenti esposizioni di quell'Accademia di Brera che già anni addietro premiò il suo Laocoonte. A Milano, grazie alla conoscenza diretta con Pelagio Palagi, Hayez ebbe contatti con numerosi alfieri della nuova temperie romantica, primi fra tutti Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Ermes Visconti e Ignazio Fumagalli. Fu proprio per merito di quest'ultimo che Hayez poté esporre il Pietro Rossi all'Accademia di Brera nell'estate del 1820, riscuotendo un grande successo che si rivelò poi determinante per la sua fortuna a Milano. Hayez, in effetti, da quel momento in poi non sapeva più come rispondere alle commissioni, che gli piovevano da tutte le parti: oltre ai Vespri siciliani, a L'addio di Ettore e Andromaca e all'ossianesco Catmor e Sulmalla, importantissima fu l'esecuzione di una tela raffigurante la tragedia manzoniana del Conte di Carmagnola, realizzata su commissione del conte Francesco Arese Lucini.

Quest'opera, oltre a valergli le simpatie del Manzoni, lo consacrò promotore di un'arte «impegnata» che, mediante il tema storico, provvedeva al riverbero e al riflesso degli ideali risorgimentali. L'eco che ebbe l'opera fu tale che arrivò anche a Cicognara che, consapevole del lustro che avrebbe dato alla sua Accademia, l'avrebbe voluta a Venezia: Hayez, tuttavia, «non volle e il quadro partì per Milano», dove venne presentato nel 1821, ottenendo un successo furioso. Disilluso, Cicognara fu prodigo di rimproveri nei confronti del «Sig. Francesco Hayez Veneziano», colpevole di non essersi saputo opporre al «desiderio di quei nobili Committenti che vollero arricchire l'Accademia Milanese delle sue produzioni, e ne defraudò in tal modo la Veneta, la quale rimase con desiderio di applaudire il proprio Concittadino, e inviarlo con una corona di più al luminoso destino».[11]

Hayez si sentì quindi in obbligo di sottolineare che il distacco da Venezia non fu affatto felice, ma fisiologico per imprimere un più decisivo impulso alla propria carriera; in tal senso, fece appello all'autorità del Canova, cui inoltrò questa lettera il 31 luglio 1821:[12]

«Amerei anche poter io stesso raccontargli in necessita ch'io ebbi di spedire prima della esposizione i mite quadri a Milano. Quattro anni ch'io sono in Venezia, e l'ordinazione di una sola testa non l'ho ancora avuta per sostentarmi dove fare il pittore di decorazione, intanto sentivo decantare e i Agricola e i Bezzuoli, ed io ero nell'avvilimento. Credei che fosse necessario di fare a qualunque sacrificio un Quadro (quantunque avessi fatto quello per Vienna)[N 5] per vedere se con un'opera studiata potessi procurarmi una qualche ordinazione. Videro i Veneziani questa mia fatica reggere la ragione, ma non Si mossero, lo vide Lei stesso in Casa Cicognara ella mi fece coraggio e mi parve non restasse scontento, mi lusingò di farlo vedere a quella Sig. Inglese che Si trovava in Venezia. Lo vide questa per mezzo del Cav. Presidente, e dopo aver date delle commissioni in Roma Si contentò solamente nel mio quadro di domandarne prezzo, che quantunque umile, pure non ebbe esito felice, io disperato faccio con Un maggior sacrificio il viaggio a Milano. In Milano sa che un numero di compratori volevano acquistare il mio Pietro Rossi, e quelli che non l'hanno potuto acquistarlo mi hanno dato delle commissioni, dunque i Milanesi e non i Veneziani mi hanno incoraggiato quest'anno a riprodurre nuove fatiche pittoriche, e a Milano dunque ho voluto che siano esposte queste mie produzioni dove il genio di quella popolazione mi fa ancora più sperare della patria mia»

 
Francesco Hayez, L'ultimo bacio di Giulietta e Romeo (1823)[N 6]

Il fatto che Milano predisponesse di un terreno più fertile ad accogliere il contributo di Hayez è testimoniato da Giuseppe Rovani, che nei suoi Cent'anni - scritti tra il 1859 e il 1864, più di trentacinque anni dopo l'arrivo dell'artista nella città ambrosiana - fa dire al protagonista Giulio Baroggi:[13]

«Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano. È il momento questo di tirare alla fortuna che passa veloce. Quel diavolo che ha fatto questa musica, ha sfidato il passato che pareva insuperabile, e ha vinto. Tutta Milano è sottosopra; e le ragazze singhiozzano e si tormentano se han le guance rubiconde, perché Ildegonda doveva averle pallidissime; Hayez quest'anno ha trionfato nelle sale di Brera, e, lasciando l'antichità, ha fatto il suo ingresso nel medio evo. Non si parla più d'Appiani, meno di Bossi. Camuccini è un pedante; Benvenuti è convenzionale. Landi e Serangeli fanno pietà; Palagi si arrabatta nel circo per atterrar l'avversario di Venezia; ma non ci riuscirà; or dunque tocca a te a dar le mosse al terremoto; e va pur là, che non sei uomo da perderti nella polvere»

La fuga in Lombardia, se venne sancita dall'esposizione del Pietro Rossi, venne consumata pienamente con il trasferimento definitivo avvenuto nel 1822: proprio in quell'anno, infatti, Hayez fu designato supplente di Luigi Sabatelli, totalmente assorto nell'impegnativa impresa decorativa di Palazzo Pitti, alla cattedra braidense di Storia d'Italia. Hayez, ospitato dall'amico incisore Michele Bisi, divenne rapidamente milanese per vocazione, tanto che non si allontanò mai dalla città meneghina: anche il progetto di fare ritorno a Roma si era fatto ormai remoto, soprattutto alla morte del Canova (avvenuta nel 1822).

In ogni caso, il primo soggiorno a Milano si trattò del «più bel momento» della carriera dell'artista, com'ebbe modo di affermare egli stesso nelle Memorie:[14] in questo periodo, infatti, Hayez si prodigò nella stesura delle principali opere giovanili, gettando le basi per quelli che saranno i temi sviluppati nella tarda maturità. A questi anni risale la grande tela raffigurante L'ultimo bacio di Giulietta e Romeo, realizzata nel 1823 su commissione del collezionista Giovanni Battista Sommariva: nel rappresentare una scena chiave della celebre tragedia shakesperiana, Hayez insiste da una parte sul triste e quanto prossimo commiato dei due amanti perduti, travolti da un amore passionale e letale, e dall'altra su un'attenta ricostruzione d'ambiente filologicamente verificata sulle fonti e ricca di riferimenti letterari.[5]

Francesco Hayez, Autoritratto in un gruppo di amici (1824); olio su tela, 32,5×29,5 cm
Francesco Hayez, Autoritratto con leone e tigre in gabbia (circa 1831); tavola, 51x43 cm

Sono questi motivi che torneranno a dispiegarsi in altre opere sempre di soggetto storico-letterario, come Fiesco si congeda dalla moglie, direttamente ispirata dalla Congiura dei Fieschi di Friedrich Schiller, la teatrale composizione de La congiura dei Lampugnani, esplicitamente desunta dalle Istorie fiorentine di Niccolò Machiavelli, o ancora Maria Stuarda nel momento che sale al patibolo (episodio ancora stavolta tratto dalla Congiura dei Fieschi), che riscosse uno sfolgorante successo sia per il fascino romantico dell'eroina, sia per la fortuna che ebbe la tragedia schilleriana in quegli anni.[5]

Al filone di soggetto storico Hayez accostò inoltre una copiosa produzione ritrattistica, e infatti fu proprio in questo ambito che ottenne risultati di notevole importanza: travalicando consolidate consuetudini, adottò soluzioni inedite e avveniristiche, che emergono nello «spoglio realismo davidiano» del Ritratto del conte Arese in carcere (1828) e nella «citazione aulica e antiquariale, tintorettesca» del Ritratto di Francesco Peloso (1824).

Anche la modesta produzione di autoritratti riflette l'ardito sperimentalismo di Hayez in questi anni, che si raffigurò insieme ai compagni Pelagi, Migliara, Molteni e Grossi (Autoritratto in un gruppo di amici, 1824) o addirittura insieme a due belve ingabbiate (Autoritratto con leone e tigre in gabbia, 1831 circa). Se, insomma, il merito dell'Hayez nella pittura di storia fu quello di infondere nelle proprie tele, rese con un'attenta ricerca tecnica e formale, nodi di significati allegorici, nella ritrattistica egli perseguì un «registro di pacato realismo» e una «caratterizzazione drammatica, domestica, dei personaggi raffigurati».[15]

L'impresa del Salone delle Cariatidi

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La magistrale abilità pittorica dell'Hayez gli garantì una certa notorietà anche al di là dei confini italiani, soprattutto in ambito mitteleuropeo: ebbe importanti committenti e mecenati in Maurizio Bethmann, nella famiglia degli Schönborn e in Guglielmo I di Württemberg, ma specialmente nel principe Klemens von Metternich, che lo incaricò di realizzare sulla volta del Salone delle Cariatidi, l'ambiente più rappresentativo del Palazzo Reale di Milano, un'allegoria ad affresco dell'incoronazione regia dell'Imperatore Ferdinando.[5]

Si trattava questa di una commissione assai importante: per questo motivo, l'Hayez prima di lasciare Milano eseguì una serie di disegni preparatori e li sottopose al giudizio del conte Franz von Hartig, detentore del governatorato della Lombardia in quei tempi. Dopo essersi consultato con l'amico Andrea Maffei circa l'iconografia da adottare, partì quindi alla volta di Vienna; Hayez arrivò nella capitale asburgica dopo aver fatto affrettatamente sosta a Venezia e Lubiana, dove incontrò - rispettivamente - l'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo Veneto, e Josef Radetzky. Giunto a Vienna, fu ricevuto a corte da Metternich, e qui presentò i disegni al ministro dell'Interno, il conte Franz Anton von Kolowrat, che rilasciò l'autorizzazione definitiva per il compimento del progetto. Terminata la lunga trafila burocratica, Hayez poté finalmente partecipare al vivace clima artistico e intellettuale della Vienna ottocentesca, visitando l'Accademia di belle arti locale e frequentando gli atelier di diversi artisti. Nel viaggio di ritorno in Italia fece tappa a Monaco di Baviera, dove incontrò l'architetto Leo von Klenze e gli artisti monacensi di quella scuola, come Ludwig Schwanthaler, Peter von Cornelius e Julius Schnorr von Carolsfeld, alcuni dei quali Hayez non rivedeva dai tempi della gioventù trascorsa a Roma.[5]

 
Francesco Hayez, Bagno di ninfe (1831); olio su tela, 92×119 cm

Rientrato a Milano, Hayez realizzò immediatamente il cartone e gli abbozzi necessari per l'impresa; tuttavia, per ritardi burocratici e controversie, l'artista non mise subito mano alla decorazione della volta, che - come ricorda egli stesso nelle Memorie - dovette essere portata a compimento in soli quaranta giorni, appena in tempo per la cerimonia d'incoronazione regia, che poté quindi essere celebrata con la cornice artistica dell'Allegoria dell'Ordine Politico di Ferdinando I d'Austria.[N 7] L'affresco piacque molto sia all'Imperatore sia al ministro Kolowrat, dai quali fu incaricato di eseguire Vettor Pisani liberato dal carcere (tema dove l'artista sarebbe poi tornato nuovamente) e L'ultimo abboccamento di Iacopo Foscari con la propria famiglia, raffigurante un episodio desunto da un dramma di Lord Byron - che sarà poi fonte di ispirazione per Giuseppe Verdi - entusiasticamente accolta dal pubblico viennese alla galleria del Belvedere.[16] Sempre in questi anni, inoltre, Hayez dipinse Malinconia, tela raffigurante una ragazza lacerata dalla malinconia, sentimento ampiamente trattato anche nella poesia romantica.[5]

 
Francesco Hayez, Il bacio (1859); olio su tela, 112×88 cm

Il successo dei grandi temi romantici

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Ritratto di Matilde Juva Branca (1851)
 
Accusa segreta (1847- 1848) Pavia, Pinacoteca Malaspina

Terminata l'impresa decorativa del Salone delle Cariatidi, Hayez inaugurò una fase più matura della propria pittura storica, che ricolmò di suggestioni risorgimentali, a simbolo di un linguaggio pittorico della nazione italiana che, già prima del proclama ufficiale, si vedeva coesa nella propria identità culturale, forte della tradizione del melodramma e della produzione di Alessandro Manzoni. L'inizio di questo cammino - come affermò lo stesso Hayez - fu sancito con la stesura dell'Incontro di Giacobbe ed Esaù (1844) e della monumentale tela raffigurante La sete dei crociati sotto Gerusalemme. La gestazione di quest'ultimo dipinto, iniziatasi nel 1835 di propria iniziativa e infine rilevata nel 1838 dal re di Sardegna Carlo Alberto, richiese quasi venti anni, tanto che venne inviata a Torino solo nel 1849, per poi venire allocata nella Sala delle Guardie del Corpo al Palazzo Reale, dove è tuttora esposta. Nonostante la critica torinese avesse accolto freddamente la sua opera, il nuovo re Vittorio Emanuele II la accolse con grandissimo plauso, tanto che insignì l'Hayez dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nel periodo che richiese la stesura della Sete dei crociati, l'artista realizzò diversi ritratti: significativi quelli ritraenti Alessandro Manzoni (1841: qui la voce), Ritratto di Matilde Juva Branca e Gian Giacomo Poldi Pezzoli.[5] Del 1848 è Accusa segreta, primo dipinto appartenente al cosiddetto Trittico della Vendetta, in cui il pittore abbandona le tematiche a lui molto care delle storie medioevali e dei fatti storici realmente accaduti per accostarsi al tema tardo-romantico della delazione per motivi amorosi[17].

Si succedettero così, a un ritmo sempre crescente, commissioni prestigiose, incarichi accademici e riconoscimenti ufficiali. Il 18 agosto 1850 divenne titolare della cattedra di pittura all'Accademia braidense, rimasta vacante in seguito alla morte di Luigi Sabatelli, del quale era già stato supplente; nel maggio del 1852 gli fu invece conferito l'Ordine della Croce di Ferro dall'imperatore Francesco Giuseppe. Nel 1860 fu nominato professore onorario dell'Accademia di belle arti di Bologna, e nello stesso anno assunse la presidenza di quella di Milano, in rappresentanza dell'amico Massimo d'Azeglio. Molto numerosa è anche la produzione artistica legata a questo periodo, che ha visto l'esecuzione del Martirio di San Bartolomeo, realizzato nel 1856 per la chiesa parrocchiale di Castenedolo, e del Bacio, celeberrima opera alla quale il nome dell'Hayez è indissolubilmente legato. Dipinto su commissione del conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto e presentato a Milano il 9 settembre 1859,[18] Il bacio raffigura una coppia di due giovani amanti pienamente abbandonati in un intensissimo bacio, che il magistero hayeziano ricolma di ideali patriottici risorgimentali, che ne favorirono il brillante successo; del dipinto, infatti, ne esistono altre tre copie, ciascuna caratterizzata da differenti scelte di colori.[5]

Ultimi anni

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Il sepolcro di Francesco Hayez al Cimitero Monumentale di Milano

Nel 1861 Hayez decise di lasciare lo studio a Brera e di fare dono del proprio corredo artistico all'Accademia. Sempre in questi anni realizzò due monumentali dipinti, La distruzione del tempio di Gerusalemme e il Marin Faliero, che destinò come testamento artistico a quell'Accademia veneziana che lo vide inizialmente formarsi. L'anziana età, tuttavia, incominciò a fiaccare le energie creative del pittore, tanto che anche nella ritrattistica decise di dedicarsi a opere di minor mole: ciò malgrado, realizzò ugualmente dei ritratti destinati a divenire celebri, come quello postumo di Gioacchino Rossini (1870) o, ancora, quello ritraente Massimo d'Azeglio (1864).[5]

La tranquillità di questi anni si interruppe nel 1869 con la morte della moglie Vincenza. In seguito a questo grave lutto, Hayez trascorse gli ultimi anni della sua vita al fianco di Angiolina Rossi Hayez, figlia adottata dall'artista nel 1873.[5]

Hayez infine morì a Milano, il 12 febbraio 1882, all'età di 91 anni,[5] sinceramente pianto dai suoi contemporanei; le sue spoglie, con grande accompagnamento, furono portate al Cimitero Monumentale di Milano, e tumulate in un colombario nella Cripta del Famedio, luogo del medesimo cimitero destinato a ospitare personalità illustri;[19][20] recentemente, i suoi resti sono stati riuniti in un grande loculo-ossario nella medesima Cripta.[21]

Onoranze postume

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Il 10 febbraio 1890, ottavo anniversario della morte e approssimativamente data del centenario della nascita, l'Hayez venne onorato dai membri dell'Accademia di Brera con l'inaugurazione di un monumento in bronzo opera dello scultore Francesco Barzaghi che fu scoperto in piazzetta Brera dove ancora si trova.

La presentazione della statua si tenne al termine di una lunga cerimonia in cui vennero onorati alcuni dei più noti professori dell'Accademia: il pittore scapigliato Tranquillo Cremona, morto prematuramente nel 1878; il pittore e già presidente dell'Accademia Luigi Bisi, morto nel 1886, il critico d'arte Giuseppe Mongeri, anch'egli successore dell'Hayez alla presidenza e morto nel 1888, e l'Ispettore economo dell'Accademia conte Francesco Sebregondi.

Al termine della cerimonia un lungo discorso tenuto dal marchese senatore Emilio Visconti Venosta, Presidente della Regia Accademia di Belle Arti, al cospetto delle più alte personalità dell'amministrazione di Milano. Il testo del discorso fu poi pubblicato negli Atti dell'imperial regia Accademia di belle arti in Milano.[22]

Alle cerimonia di inaugurazione del monumento erano presenti, fra gli altri: la figlia adottiva Angiolina, donatrice delle opere dell'Hayez che corredavano lo studio del pittore presso l'Accademia; la ticinese Giuseppina Morosini Negroni Prati alla quale Hayez aveva dettato le proprie memorie; l'intimo amico del pittore Cesare Cantù, il conte Emilio Barbiano di Belgiojoso e il sindaco di Milano Gaetano Negri.

Francesco Hayez è stato il massimo e più accreditato esponente del Romanticismo in Italia. La maturazione di quest'indirizzo culturale non trovò affatto terreno fertile in territorio italico, dove era soffocato sia dai controlli e dagli interventi di censura predisposti dai Borbone, dagli Asburgo e dallo Stato Pontificio, sia da una mancanza di energia e di carica innovativa; questa sostanziale inerzia artistica pose l'Italia in netto contrasto con il resto dell'Europa, che vide l'affermarsi di figure quali Friedrich, Turner, Goya e Delacroix.[23]

In tal senso, la pittura di Hayez è particolarmente emblematica. Accostandosi al repertorio mitologico e storico, lo stile di Hayez è molto vicino alla sensibilità romantica, che egli però reinterpreta alla luce di una temperie spiccatamente classicheggiante e accademica. Questa equidistanza fra il classicismo e il romanticismo, le due posizioni dicotomiche di quella veemente diatriba che segnò l'Ottocento, ebbe un ruolo decisivo per la fortuna della produzione hayeziana, che in questo modo esercitò un'autorevole influenza sulla pittura ottocentesca e sul gusto estetico italiano. Quest'ultimo, a differenza del modello d'Oltralpe, risultava infatti ancora sottoposto alle limitazioni assoggettate dall'adesione al repertorio mitologico e al canone classico; nella sua prima maturità, Hayez riflette questo gusto, risentendo delle influenze esercitate da Canova e Raffaello Sanzio. Lo stesso non si può dire per i soggetti: all'ambientazione storica (efficacissima formula espressiva) Hayez sottese l'idea dell'Italia unita, in una cornice di propaganda capillare che coinvolse anche il melodramma, all'epoca molto popolare, e la musica di Giuseppe Verdi.[23]

Francesco Hayez, Ritratto di Cristina di Belgiojoso-Trivulzio (1832); olio su tela, 136×101 cm
Francesco Hayez, Ritratto del Conte Arese in carcere (1828); olio su tela
Francesco Hayez, Venere che scherza con due colombe (1830); olio su tela, 183×137 cm

Le primissime opere dell'Hayez sono caratterizzate da un gusto moderato e da uno stile limpido, il quale si risolve nei felici cromatismi adottati che - grazie ad accattivanti giochi di colore - si fondono con il resto degli elementi del dipinto in un sobrio equilibrio visivo. Come già accennato, tra l'altro, le scelte cromatiche dell'Hayez erano spesso dei veri e propri veicoli allegorici, con i quali egli poté provvedere alla diffusione quasi subliminale degli ideali risorgimentali; spesso nelle sue opere sono presenti allusioni al Tricolore italiano da scelte cromatiche o, più genericamente a elementi risorgimentali.[23]

Oltre che per i brani di soggetto storico, l'Hayez si distinse anche per una cospicua produzione di ritratti, dove raggiunse i risultati espressivi più alti. A esser raffigurati nelle sue tele sono gli esponenti di maggiore spicco del Risorgimento: particolarmente significativi, sotto questo profilo, sono il ritratto della principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, denso di significati politici, e il Ritratto del Conte Arese in carcere, dove l'illustre patriota è raffigurato rinchiuso nella fortezza dello Spielberg.[23]

Altra peculiarità dello stile pittorico di Hayez è il suo audace realismo: l'artista, infatti, andava in direzione di un'efficace trasposizione del vero, che si manifestava soprattutto nei diversi nudi femminili, che non di rado suscitarono scandalo in quanto giudicati privi di armonia e volutamente volgari, rei di trascurare le esigenze del decoro e delle auree proporzioni. In questo filone si inscrive felicemente la Venere che scherza con due colombe, impersonata dalla ballerina Carlotta Chabert.[23]

Ma è lo stesso Hayez a definire il proprio stile pittorico, in un'acuta introspezione che rivolse a tutti quei giovani aspiranti artisti, cui consigliò:[24]

«[...] si guardino tanto dal tenersi troppo ligi alle regole dell'arte come dall'imitazione materiale del vero: l'artista dopo aver ben studiato sui modelli antichi le regole fondamentali dell'arte, se è veramente chiamato a seguire le orme dei grandi maestri, deve formare nella propria fantasia l'immagine che egli eseguirà quando abbia trovato un modello che gli rappresenti il tipo che egli si è formato nella mente e al quale, copiando le linee esteriori, presterà quella parte ideale che forma il bello nel vero»

Influenza culturale

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Stendhal, Mazzini e Defendente Sacchi

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Giuseppe Mazzini, l'ideologo dell'epopea risorgimentale, in un pungentissimo saggio poi edito con il titolo La pittura moderna italiana fu categorico nell'affermare che l'Italia era vista dagli osservatori d'Oltralpe come una «terra dei morti», un paese afflitto da secolari torpori. Un simile destino sarebbe toccata alla pittura nazionale, soffocata dai rigidi principi dell'età neoclassica, se non fosse stato per il «genio democratico» di Hayez, «un grande pittore idealista italiano del secolo XIX», il «capo della scuola di Pittura Storica, che il pensiero Nazionale reclamava in Italia», «l'artista più inoltrato che noi conosciamo nel sentimento dell'Ideale che è chiamato a governare tutti i lavori dell'Epoca». Mazzini, quindi, ribadì l'originalità di Hayez, asserendo che «la sua ispirazione emana direttamente dal Genio» e rivendicando il suo ruolo quale maggior interprete del Romanticismo.[15]

Già Stendhal, in una lettera del 1828 indirizzata all'amico Alphonse Gonsollin, riconobbe il primato di Hayez, ritenuto dallo scrittore francese uno dei pochi artisti italiani a esser stato in grado di interpretare il maestoso teatro degli ideali romantici:[15]

 
Giuseppe Mazzini, uno dei maggiori fautori della notevole fortuna dell'Hayez

«Hayez, pittore veneziano a Milano, mi sembra niente di meno che il primo pittore vivente. I suoi colori rallegrano la vista come quelli del Bassano e ognuno dei suoi personaggi mostra una sfumatura della passione. Qualche piede, qualche mano sono attaccati male. Ma che me ne importa! Guardate la Predicazione di Pietro l'Eremita, che espressioni di fede su quei visi! Questo pittore m'insegna qualcosa di nuovo sulle passioni che dipinge»

Analogamente, l'esule Mazzini lodò altamente il respiro europeo della produzione di Hayez, che egli considera un portavoce universale, quasi una figura profetica:[15]

«il posto che gli spetta è fuori di quelle sfere; è quello della Storia. Trattata dal punto di vista dell'avvenire. Là, è grande e solo: lo storico della razza umana, e non di qualcuna delle sue individualità preminenti. Nessuno fin qui, tra i pittori, ha sentito come lui la dignità della creatura umana, non quale brilla agli occhi di tutti sotto la forma del potere, del grado, della ricchezza o del Genio, ma quale si rivela agli uomini di fede o di amore, originale, primitiva, inerente a tutti gli esseri che sentono, amano, soffrono e aspirano, secondo le loro forze, con la loro anima immortale. In mezzo alle mille forme umane, che la storia evoca, variate, ineguali, attorno a lui, egli domina, sacerdote del Dio che penetra, riabilita e santifica tutte le cose»

La critica militante di Mazzini ebbe un ruolo decisivo per la notevole fortuna dell'Hayez, che fu già ammirato e amato dal pavese Defendente Sacchi, che scrisse in favore dell'artista degli infuocati articoli su alcuni periodici popolari. Uno dei testi di Sacchi deve esser stato sicuramente letto dal Mazzini che, pur non avendolo mai visitato, riusciva comunque a evocare la semplicità dell'atelier di Hayez, brulicante di oggetti:[15]

«[Lo studio era] assai semplice; una stanza non troppo grande ingombra di varii leggii sui quali posavano i quadri che stava lavorando, ignude le pareti senza la solita impannata di disegni, di carte, di abbozzi, senza che v’ abbia attelata la consueta schiera di automi, di gessi, di cui sogliono i pittori a Roma popolare la casa. Hayez, dopo qualche schizzo, senza moltiplicare gli studi, le prove, pinge alla prima i suoi quadri, indi invia a chi li allogò, senza tenerne o disegni o ricordanze: è il genio che crea, né mai si volta indietro»

Nel 1881 ci viene confermata l'influenza culturale dell'artista (ancora in vita per poco), quando venne pubblicato il romanzo Malombra di Antonio Fogazzaro: nell'opera viene infatti descritta la residenza di un protagonista, nella cui camera da letto è appeso un ritratto femminile realizzato proprio da Hayez.

XX e XXI secolo

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All'inizio del Novecento la parabola hayeziana scemò progressivamente, soprattutto a causa della «sfortuna dell'accademia» di cui godeva nella storiografia artistica di quel periodo: quest'oblio, parzialmente riscattato nel periodo interbellico, quando si affacciò timidamente alla ribalta internazionale delle Biennali di Venezia, perdurò fino al termine della seconda guerra mondiale.

Il culto dell'Hayez si ravvivò infatti solo a partire dal secondo dopoguerra, grazie alla riabilitazione della cultura accademica che cominciò finalmente a divulgarsi mediante le grandi mostre internazionali: in primo luogo, fondamentale fu il ruolo svolto dalla grande mostra antologica dedicata all'artista del 1983, allestita in vari poli museali milanesi, in occasione del centenario della morte. L'inaugurazione di quest'esibizione diede sfogo alla vena interpretativa dei critici italiani del tempo, che in questo modo ebbero l'opportunità di riscoprire un artista straordinariamente eclettico, che, incarnando lo spirito della sua epoca, lo portò alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi della pittura, dai temi religiosi, biblici e orientalisti ai nudi femminili e i ritratti.[15] L'unico detrattore di Hayez di questi anni fu Giulio Carlo Argan, che nella sua Arte moderna (1970) sostenne la necessità di prendere come modello d'imitazione artistica Antonio Canova, scartando la produzione hayeziana per i suoi toni troppo melodrammatici.[25]

Alla figura di Hayez sono state dedicate numerose rassegne: quella meno ricca del quadriennio 1996-1999, tenutasi presso il palazzo Zabarella di Padova; Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi, allestita in occasione del 150º anniversario dell'Unità d'Italia, e infine la grande mostra monografica tenutasi presso le Gallerie d'Italia - Milano dal 6 novembre 2015 al 21 febbraio 2016, Hayez, tesa a illustrare la carriera e le opere dell'artista, con un inedito accostamento delle diverse redazioni del Bacio.[26]

Grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, inoltre, la figura di Hayez è stata diffusa al di fuori degli ambienti più strettamente artistici, approdando anche nel cinema e assurgendo a vero e proprio riferimento iconografico. Mario Soldati inserisce il ritratto della moglie di Manzoni su una parete del palazzo del conte d'Ormengo nel film Malombra; la citazione più famosa, tuttavia, si trova in Senso, ove il regista Visconti effettua un calco cinematografico del Bacio nella scena finale alla Villa di Aldeno. Altri riferimenti al pittore si rinvengono nei Promessi sposi cameriniani, in Noi credevamo di Mario Martone, dove vanno in scena le angosce e le aspirazioni dell'età risorgimentale, nello spettacolo d'autore della Waterloo di Bondarčuk e nel Romeo e Giuletta zeffirelliano, pregno di un sensualismo squisitamente romantico.

L'uomo Hayez

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Giuseppe Mazzini, infine, offre un ritratto caratteriale assai dettagliato dell'artista, delineandone anche i principali tratti fisiognomici:[15]

«L'Hayez è lavoratore assiduo; trascorre le intere giornate solo, nel suo studio, di cui apre egli stesso la porta, e non ha nulla di quell'affrettata apparenza che è prediletta da tanti pittori. Le sue maniere sono semplici, franche, talvolta rudi e burbere, ma che tradiscono sempre la bontà. Il suo viso bruno è aperto e pieno d'espressione: la sua fronte serena, i suoi occhi brillanti»

Di seguito si riporta un elenco parziale di opere realizzate da Francesco Hayez:

titolo data dimensioni (centimetri) collocazione immagine
Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria 1800-1849 290x200 Musei Civici, Brescia  
Riconciliazione di Esaù con Giacobbe 1800-1849 298x210 Musei Civici, Brescia  
Ritratto del padre Angelo Maria Pezzoli[27] 1809 61x55 Gallerie dell’Accademia di Venezia  
Laocoonte e i figli strangolati da due serpenti 1812 175x246 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Aristide [28] 1812 163x126 Gallerie dell’Accademia, Venezia  
Rinaldo e Armida 1812-1813 197,5x296,5 Gallerie dell’Accademia, Venezia  
Solone [29] 1812-1813 117x88 Gallerie dell’Accademia, Venezia  
Atleta trionfante 1813 225x152 Accademia di San Luca, Roma  
La morte di Abradate 1813 74x95 Gallerie d’Italia, Milano  
Cupido 1813-1818 58x72 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ulisse alla corte di Alcinoo 1814-1816 55x90 Accademia di San Luca, Roma  
Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri 1818-1820 131x157,5 Pinacoteca di Brera, Milano  
Ritratto di Francesco Roberti[30] 1819 38x30 Museo Civico di Bassano, Bassano del Grappa  
Testa di ragazzo 1820-1830 26x32 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto di Carlo Calvi post 1820 124,5x221 Ca' Granda, Milano  
Ritratto di Tommaso Grossi 1820-1821 26,5x23 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto di gruppo della famiglia Borri Stampa 1822-1823 125x128 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto di Giovanni Battista Birago 1822-1823 115x193 Ca' Granda, Milano  
L'ultimo bacio di Giulietta e Romeo 1823 201x219 Museo Villa Carlotta, Tremezzo (CO)  
Ritratto di Carlo Della Bianca[31] circa 1823 54x37 Pinacoteca di Brera, Milano  
Ritratto di Pietro Francesco Visconti Borromeo circa 1823-1824 125x205 Ca' Granda, Milano  
Autoritratto in un gruppo di amici 1824 o 1827 32,5x29,5 Museo Poldi Pezzoli, Milano  
Crocifisso con la Maddalena 1825 220x103,7 Museo diocesiano Carlo Maria Martini, Milano  
Ritratto del conte Ninni 1825 / collezione privata
Ritratto di Carolina Zucchi (la malata)[32] 1825 60,1x49,4 GAM Torino  
La congiura dei Lampugnani 1826-1828 117x149 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto del Conte Arese in carcere 1828 151x116 Galleria d’arte moderna, Firenze  
Ritratto di Federica Cristina Mylius Schauss 1828-1829 58x74 Villa Vigoni, Menaggio (CO)  
Venere che scherza con due colombe 1830 183x137 Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto  
Ritratto di Giovanni David sulla scena del melodramma “Gli arabi nelle Gallie” 1830 164x224 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Testa del pittore Carlo de Notaris 1830-1840 32x36 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
testa femminile post 1830- ante 1850 27x33 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
La Maddalena 1830-1831 49x59 /  
Bagno di ninfe 1831 92x119 collezione privata  
Autoritratto con leone e tigre in gabbia circa 1831 51x43 Museo Poldi Pezzoli, Milano  
Ritratto di Luigia Vitali Mylius Vigoni 1832 100x131 Villa Vigoni, Menaggio (CO)  
Ritratto di Cristina di Belgiojoso-Trivulzio 1832 / collezione privata  
Bagnante (1^ versione) 1832 56x62 Accademia Carrara, Bergamo  
Valenza Gradenigo sviene davanti all'inquisitore suo padre (1^ versione) 1832 59x40 Museo Villa Carlotta, Tremezzo (CO)  
Ritratto di Teresa Zumali Marisili col figlio Giuseppe circa 1833 129x105 Gallerie d’Italia, Milano  
La Maddalena 1833 151x118 Galleria d’arte moderna, Milano  
La Maddalena Penitente 1833 121x150 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Valenza Gradenigo davanti gli inquisitori (2^ versione) 1835 157x235 Gallerie d’Italia, Milano  
papa Urbano II sulla piazza di Clemont predica la prima crociata 1835 157x235 Gallerie d’Italia, Milano  
Ritratto di Giulia Moroni Resta 1838 98x110 palazzo Moroni, Bergamo
Ritratto della marchesa Maria Oleavano Confalonieri circa 1838 98x110 palazzo Moroni, Bergamo
Crociati che placano la sete/La sete dei crociati sotto Gerusalemme 1838-1849 363x589 Musei reali, Torino  
S. Michele arcangelo che scaccia Lucifero dal paradiso 1838-1839 / Pieve di Sant'Andrea, Iseo (BS)  
L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia(1^ versione) circa 1838-1840 165x233 Gallerie d’Italia, Milano  
Odalisca[33] 1839 80x64 Pinacoteca di Brera, Milano  
Malinconia 1840-1841 138x101 Pinacoteca di Brera, Milano  
Madonna con bambino e devota 1840-1860 67x93 Musei Civici, Brescia  
Ritratto di Alessandro Manzoni 1841 120x92,5 Pinacoteca di Brera, Milano  
Betsabea al bagno 1841-1842 107x77 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Sansone ed il leone atterrato[34] 1842 / Gallerie degli Uffizi, Firenze  
Ritratto del nobile Giulio Vigoni bambino 1842 105,5x82,5 Villa Vigoni, Menaggio (CO)  
Il doge Gritti 1842 75x100 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Caterina Cornaro riceve l’annuncio della sua deposizione dal Regno di Cipro 1842 151x121 Accademia Carrara, Bergamo  
L'Addolorata 1842 180x117 MAG Museo Alto Garda, Rocca di Riva (TN)  
Pensiero malinconico[35] 1842 / /  
Valenza Gradenigo davanti gli inquisitori (3^ versione) 1842-1845 / /  
II doge Francesco Foscari destituito[36] 1844 220x305 Pinacoteca di Brera, Milano  
ritratto di Clara Maffei 1845 / MAG Museo Alto Garda, Rocca di Riva (TN)  
I vespri siciliani 1846 225x308 Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, Roma  
Tamar di Giuda post 1847 84,5x112 Varese  
Accusa segreta 1847-1848 120x153; 172x20x201 Museo civico, Pavia  
Autoritratto a 57 anni 1848 124x94 Pinacoteca di Brera, Milano  
Rebecca al pozzo 1848 84x110 Accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto di Teresa Manzoni Stampa Borri 1849 117x92 Pinacoteca di Brera, Milano  
La Meditazione 1850 92,5x71 GAM Achille Forti, Verona  
Sant'Ambrogio ricusa l'entrata nel Tempio all'imperatore Teodosio circa 1850-1860 116,2x85 Pinacoteca di Brera, Milano  
Ritratto di Ambrogio Nava[37] ante 1851 75x90 Palazzo Marliani Cicogna, Busto Arsizio  
Ritratto di Matilde Juva Branca 1851 95x121 GAM, Milano  
La meditazione sulla storia d'Italia 1851 / /  
Ritratto di Gian Giacomo Poldi Pezzoli 1851 120x93,5 museo Poldi Pezzoli, Milano
Ritratto di Emilia Morosini Zeltner 1852 79x98 pinacoteca Ambrosiana, Milano  
l’ultimo abboccamento di Jacopo Foscari (2^ versione) 1852-1854  
Ritratto di Francesco Giuseppe I d’Austria 1852-1859 142x223 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto di Antonio Rosmini 1853 92x119 GAM, Milano  
Imelda de’ Lambertazzi[38] 1853 / /  
Ritratto di Alessandro Negroni Prati 1853 94x120 pinacoteca Ambrosiana, Milano  
Ritratto di Giuseppina Negroni Prati Morosini circa 1853 / /  
La vendetta di una rivale (le veneziane) 1853-1860 39x54 museo Villa Carlotta, Tremezzo  
Ritratto del conte Giovanni Battista Morosini 1854 81x103 pinacoteca Ambrosiana, Milano  
Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini 1858 133,5x110 GAM, Milano  
Riconciliazione di Ottone II con Adelaide di Borgogna sua madre[39] 1858 209x160 musei civici, Pavia  
Bagnante 1859 120x133,5 accademia delle belle arti di Brera, Milano  
I consoli milanesi lacerano e calpestano il decreto del Barbarossa 1859 117x84 accademia delle belle arti di Brera, Milano  
Il bacio (1^ versione) 1859 112x88 pinacoteca di Brera, Milano  
Testa di tigre 1860-1865 56,5x66 accademia di belle arti di Brera, Milano  
La distruzione del tempio di Gerusalemme[40] 1860-1863 183x282 galleria dell’accademia di venezia  
Il bacio (2^ versione) 1861 / collezione privata  
Autoritratto a 71 anni, 1862 125,5x101,5 galleria degli Uffizi, Firenze  
Ritratto di Massimo D’Azeglio[41] 1864 119x93 pinacoteca di Brera, Milano  
Ritratto a Camillo Benso conte di Cavour[42] 1864 79x65 Pinacoteca di Brera, Milano  
Vittor Pisani liberato dal carcere e portato in trionfo 1866-1867 170x100 accademia di Brera, Milano  
Il bacio (3^ versione) 1867 / collezione privata  
Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del piombo[43] 1867 238x192 pinacoteca di Brera, Milano  
Ritratto della contessina Luigia Negroni Prati Morosini 1867 / collezione privata  
Odalisca che legge[44] 1867 75x92 museo villa Carlotta, Tremezzo  
Odalisca nel sonno 1867 75x93 accademia di Brera, Milano  
Ecce homo 1867-1875 128x210 galleria dell’accademia, Lovere  
Madonna 1869 52x60 galleria dell’accademia, Lovere  
Ritratto di Gioacchino Rossini[45] 1870 109x97 pinacoteca di Brera, Milano  
Bianca Cappello abbandona la casa paterna circa 1870 144,5x200 pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia  
Autoritratto come doge Gritti[46] circa 1870 41x44,8 musei civici di Pavia  
Giulio Cesare in senato circa 1870-1875 91,2x72 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Ritratto della contessa Antonietta Negroni Prati Morosini 1871 115x93,5 GAM, Milano  
Autoritratto 1872 26,8x30 accademia di Brera, Milano  
Ritratto di Fernando Ranci Ortica 1873 65x53 museo Poldi Pezzoli, Milano
Ritratto di Alessandro Manzoni 1874 120x92,5 GAM, Milano  
Ritratto del conte Carlo Barbiano di Belgiojoso 1874 70x85,5 accademia di Brera, Milano  
Ritratto di Angiolina Rossi Hayez 1875 69x85 accademia di Brera, Milano  
Ritratto di Giovanni Battista Morosini 1875 52x60 GAM, Milano
Testa di vecchio 1875 41,5x34,5 museo Poldi Pezzoli, Milano  
studio di testa circa 1875-1880 32x36 accademia di Brera, Milano  
Busto di donna dai capelli sparsi 1876 67x82 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Autoritratto a 88 anni [47] 1878 85x69 Gallerie dell’Accademia di Venezia  
Autoritratto circa 1879 55x61,5 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Autoritratto 1880 29x36 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Busto della vergine 1880 50x60 accademia di belle arti di Brera, Milano  
Studio di nudo 1880-1882 70x105 accademia delle belle arti di Brera, Milano  
Vaso di fiori sulla finestra di un harem[48] 1881 125x94,5 pinacoteca di Brera, Milano  

Esplicative

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  1. ^ D'ora innanzi, nel testo si farà riferimento all'edizione delle Memorie del 1995, in quanto riprende la precedente ma in modo più completo, ed al Catalogo ragionato di Hayez edito sempre dal Mazzocca nel 1994.
  2. ^ Oltre ad Hayez, risultarono vincitori dell'«alunnato di Roma» del 1809 anche Giovanni De Min e Vincenzo Baldacci. Si consulti: Di Monte.
  3. ^ Con bolla del 1802, il pontefice Pio VII nominò Canova ispettore generale di tutte le Belle Arti per Roma e lo Stato pontificio, con sovrintendenza ai musei Vaticani e Capitolini e all'Accademia di San Luca. Si consulti, per maggiori informazioni sulle dignità detenute dal Canova: Massimiliano Pavan, CANOVA, Antonio, su Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 18, Treccani, 1975. URL consultato l'8 febbraio 2016.
  4. ^ Il ritratto, che coniuga lo stile di Vincenzo Camuccini con la maniera dei Nazareni tedeschi, presenta una larga lacerazione sul viso altrimenti candido della donna. È lo stesso Hayez, nelle sue Memorie, ad additarci i motivi per cui s'è generato lo squarcio:

    «Ma convien dire che la moglie del chirurgo non si fosse dimenticata di me, poiché saputo che io stavo dipingendo il ritratto della mia fidanzata (...) approfittò ch'io abbandonassi per un momento lo studio, ella vi entrò, e con un manico d'un pennello fece un taglio proprio sulla faccia»

    Si consulti: F. Tamanini, Ritratto della moglie Vincenza Scaccia, su lombardiabeniculturali.it, LombardiaBeniCulturali, 2009. URL consultato il 21 febbraio 2016.

  5. ^ Il quadro eseguito «per Vienna» è la Pietà di Ezechia.
  6. ^ Il giornalista Defendente Sacchi diede a questa tela il valore di un simbolo, consacrandola a manifesto della pittura romantica per aver sostituito alla mitologia classica i due giovani amanti shakespeariani:

    «la sua Giulietta [...] è bella, ma bella dell'amor suo, dolce ti piove in core a riguardarla una vaghezza che ti annunzia essere l'ideale de' suoi tempi; Romeo non è l'Antinoo né l'Apollo, eppure è con desio considerato dalla femminile curiosità e ti annunzia il fiore de' prodi e degli amanti»

    Si consulti: Un Bacio per l'Italia. Hayez: la genesi di un capolavoro (PDF), su reality.provincia.milano.it, Milano, Provincia di Milano, 2011. URL consultato il 22 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 4 novembre 2016).

  7. ^ Il Salone delle Cariatidi verrà poi distrutto dai bombardamenti bellici anglo-americani dell'agosto del 1943. Si consulti: Armando Besio, Sala delle Cariatidi, l'ora della rinascita, La Repubblica, 7 marzo 2005. URL consultato il 24 febbraio 2016.

Bibliografiche

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  1. ^ Un «genio democratico» consacrato da Mazzini, Il Giornale, 8 novembre 2015. URL consultato il 26 febbraio 2016.
  2. ^ A proposito, si consultino i seguenti documenti:
  3. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 12.
  4. ^ Barbiera, p. 58.
  5. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r Di Monte.
  6. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 85.
  7. ^ Ulisse alla corte di Alcinoo, su cir.campania.beniculturali.it, Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Campania. URL consultato il 17 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 6 settembre 2013).
  8. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 52.
  9. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 113.
  10. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 54.
  11. ^ Picotti, p. 19.
  12. ^ Lettera di Francesco Hayez ad Antonio Canova, datata 31 luglio 1821 (Bassano del Grappa, Biblioteca e Museo Civico, Epistolario Scelto Canova, II.83.1571).
  13. ^ Rovani, p. 575.
  14. ^ Mazzocca, Le mie memorie, p. 140.
  15. ^ a b c d e f g Catalogo della mostra Hayez (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2016). di Gallerie d'Italia - Milano (7 novembre 2015 - 21 febbraio 2016).
  16. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 88.
  17. ^ Damiano Sara, Accusa segreta, Hayez Francesco, su lombardiabeniculturali.it.
  18. ^ Mazzocca, Catalogo ragionato, p. 341.
  19. ^ Tomba Francesco Hayez (JPG), su necroturismo.it.
  20. ^ Maffeis, pp. 89-94.
  21. ^ Comune di Milano, App di ricerca defunti Not 2 4get.
  22. ^ Atti della R. Accademia di belle arti in Milano, Anno MDCCCLXXXIV, Milano, Tipografia Pietro Faverio, 1890, p. 47 e segg..
  23. ^ a b c d e A. Cocchi, Hayez, su geometriefluide.com. URL consultato il 24 febbraio 2016.
  24. ^ Borsellino; Pedullà, p. 134.
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  27. ^ (EN) ritratto del Padre Angelo Maria Pezzoli ritratto di ecclesiastico, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 15 maggio 2023.
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  29. ^ Solone, su Gallerie dell'Accademia di Venezia. URL consultato il 21 maggio 2023.
  30. ^ Hayez Francesco (1791/1882) Ritratto di Francesco Roberti, su museibassano.it. URL consultato l'11 luglio 2023.
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  33. ^ Odalisca - Francesco Hayez, su pinacotecabrera.org. URL consultato il 9 maggio 2023.
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  38. ^ Stefano Castelli, La pittura lombarda dell’Ottocento in mostra a Novara | Artribune, su artribune.com, 17 gennaio 2023. URL consultato il 30 marzo 2023.
  39. ^ Riconciliazione di Ottone II con Adelaide di Borgogna sua madre, su Lombardia Beni Culturali. URL consultato il 14 novembre 2023.
  40. ^ La distruzione del tempio di Gerusalemme, su Gallerie dell'Accademia di Venezia. URL consultato il 13 maggio 2023.
  41. ^ Ritratto di Massimo d'Azeglio - Francesco Hayez, su pinacotecabrera.org. URL consultato il 9 maggio 2023.
  42. ^ (EN) Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour ritratto d'uomo dipinto,, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 15 maggio 2023.
  43. ^ Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del piombo - Francesco Hayez, su pinacotecabrera.org. URL consultato il 9 maggio 2023.
  44. ^ (EN) Odalisca che legge dipinto, 1866 - 1866, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 21 maggio 2023.
  45. ^ Ritratto di Gioacchino Rossini - Francesco Hayez, su pinacotecabrera.org. URL consultato il 9 maggio 2023.
  46. ^ Autoritratto come doge Gritti, su Lombardia Beni Culturali. URL consultato il 14 novembre 2023.
  47. ^ Autoritratto, su Gallerie dell'Accademia di Venezia. URL consultato il 21 maggio 2023.
  48. ^ Vaso di fiori sulla finestra di un harem - Francesco Hayez, su pinacotecabrera.org. URL consultato il 9 maggio 2023.

Bibliografia

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  • Raffaello Barbiera, Una grande amica di Giuseppe Verdi.
  • Nino Borsellino; Walter Pedullà, Storia generale della letteratura italiana, vol. 9, F. Motta, 1999.
  • Michele Di Monte, HAYEZ, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 61, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004.
  • Bruno Maffeis, Quelli che hanno fatto grande Milano, l'Italia: I personaggi sepolti nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, 2015, ISBN 88-930605-1-5.
  • Fernando Mazzocca, Francesco Hayez: Catalogo ragionato, in Cataloghi ragionati di artisti lombardi dell'Ottocento, Federico Motta Editore, 1994, ISBN 88-7179-081-2.
  • Fernando Mazzocca, Francesco Hayez, Le mie memorie, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1995, ISBN 88-7305-486-2.
  • Luca Pietro Nicoletti, Appunto per Francesco Hayez, Alle Gallerie d'Italia di Milano, inSEDICESIMO, 2016.
  • Discorsi letti in occasione della distribuzione de' premj, Picotti, 1821.
  • Giuseppe Rovani, Cento anni: romanzo ciclico, vol. 2, Rechiedei, 1869.
  • M. Albertario, Lettere dalla periferia dell'Impero. Enrico Banzolini e Francesco Hayez, in Musei lombardi a tre colori. Materiali tra arte e storia, Torino 2012, pp. 41–69.

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