Heinrich Johann Bellegarde

generale austriaco

Heinrich Joseph Johannes Bellegarde (Dresda, 29 agosto 1756Vienna, 22 luglio 1845) è stato un generale austriaco. Nato a Dresda, in Sassonia, in seno ad una famiglia di origine savoiarda, feldmaresciallo di Francesco II, combatté l'intero ciclo delle guerre contro la Francia Rivoluzionaria e Napoleone, riportando alcune vittorie ed assistendo a molte decisive sconfitte, ma aumentando sempre il proprio credito verso la Casa d'Austria. Governatore di Milano e delle Venezie, fu il vero creatore del Regno Lombardo-Veneto e della egemonia austriaca in Italia.

Heinrich Johann Bellegarde
Heinrich Johann Bellegarde in una stampa d'epoca incisa da Benedetto Bordiga
NascitaDresda, 29 agosto 1756
MorteVienna, 22 luglio 1845
Dati militari
Paese servito Sacro Romano Impero
Impero austriaco
Forza armata Esercito del Sacro Romano Impero
Esercito imperiale austriaco
ArmaEsercito
GradoFeldmaresciallo
GuerreGuerra austro-turca (1788-1791)
Guerre napoleoniche
Guerra austro-napoletana
CampagneCampagna d'Italia (1813-1814)
BattaglieBattaglia di Finstermünz
Battaglia di Marengo
Battaglia di Pozzolo
Battaglia di Caldiero
Battaglia di Austerlitz
Battaglia di Eckmühl
Battaglia di Aspern-Essling
Battaglia di Lipsia
Battaglia del Mincio
Battaglia di Tolentino
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«Omne malum a septentrione.»

Biografia

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Era il figlio di Johann Franz von Bellegarde e di Maria Antonia Gräfin von Hartig.

Gli esordi

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Discendente di una delle più antiche famiglie della nobiltà savoiarda, nacque nel 1755 a Dresda, capitale del Regno di Sassonia e, per qualche tempo, fece parte dell'esercito di quel regno.

Entrato nel 1771 al servizio degli Asburgo d'Austria, si distinse come colonnello dei dragoni nella Guerra austro-turca (1788-1791).

La 1ª coalizione

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Napoleone e i suoi generali

Partecipò, come maggiore-generale, alla infelice campagna d'Olanda (1793-1794 che portò alla proclamazione della filo-francese Repubblica Batava), con tali meriti da essere promosso, già nel 1796, quarantunenne, luogotenente-feldmaresciallo. Nel 1796, quando l'arciduca Carlo assunse il comando in Germania gli fu accanto nello Stato maggiore. Gli Austriaci respinsero l'avanzata di Moreau e di Joubert ad Amberg ed a Würzburg.

Nel 1797 accompagnò l'arciduca nella sfortunatissima campagna d'Italia contro un nuovo e giovanissimo generale francese, tal Napoleone Bonaparte. Nell'aprile 1797, con Merveldt, siglò l'armistizio di Judenburg e poi il 17 ottobre 1797 firmò con Napoleone i preliminari di pace di Campoformio (o armistizio di Leoben), conclusi nel Congresso di Rastatt: l'Austria rinunciava a tutta Italia ma acquisiva Venezia.

La 2ª coalizione

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Nel 1799, gli fu affidato il comando del corpo di armata in Svizzera orientale, circa 25 000 uomini, incaricato di mantenere le comunicazioni fra l'esercito russo di Suvorov e quello austriaco dell'arciduca Carlo. Il 20 marzo 1799 combatté la battaglia di Finstermünz contro i francesi di Lecourbe.

Raggiunse, quindi, il russo in Italia. Condusse l'assedio della cittadella di Alessandria. Incaricato del blocco di Tortona, il 20 giugno 1799 presso Giuliano venne battuto dal francese Moreau e costretto a ritirarsi oltre la Bormida. Prese parte alla decisiva vittoria di Novi contro i francesi di Joubert, che si videro costretti ad abbandonare le repubbliche giacobine italiane.

 
La battaglia di Marengo

Nel 1800 fu secondo del Comandante in Capo austriaco generale Melas. Incaricato dell'ala sinistra austriaca, combatté a Santa Giustina contro Masséna. Sul Var venne respinto da Suchet. Napoleone, tornato dall'Egitto e divenuto primo console, passò quindi le Alpi e inflisse agli austriaci e a Bellegarde la famosa sconfitta di Marengo.

Dopo Marengo e la tregua di Alessandria, a Bellegarde venne affidato il comando supremo in Italia, al posto di Melas. Non seppe ottenere risultati migliori del suo predecessore: si vide conquistare Mantova, Ferrara e altre città. Da comandante in capo debuttò il 25 dicembre con una sconfitta a Pozzolo, inflittagli da Dupont e dovette ripiegare dietro l'Adige. Il 16 gennaio 1801 fu costretto a concludere l'armistizio di Treviso, presto seguito dalla pace di Lunéville (che confermava le condizioni del Campoformio).

Quattro anni di pace

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Nell'opinione della corte, comunque, non dovette risentire della sfortunata campagna, che lo considerava "non un dei più fortunati, ma dei più abili generali d'Austria"[1]. Al termine della guerra, Bellegarde fu chiamato a far parte del Consiglio Aulico di guerra, che presiedette ad interim nel 1805 quando l'arciduca Carlo lasciò per assumere il comando in Italia.

La 3ª coalizione

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Presto, tuttavia, anche a Bellegarde venne assegnato un comando operativo e comandò la destra austriaca nella sanguinosa sconfitta di Caldiero. Le cose andavano anche peggio sul fronte di Germania, con l'esercito austriaco accerchiato e costretto alla resa ad Ulma. L'arciduca Carlo prese, quindi, a ritirarsi verso l'Ungheria, per ricongiungersi con i Russi. Ma Napoleone si mosse con grande rapidità e il 2 dicembre 1805 diede battaglia ad Austerlitz sconfiggendo pesantemente austriaci e russi.

Bellegarde non vi prese parte in quanto, dal luglio 1805, era stato nominato comandante generale del Veneto austriaco, carica che dovette lasciare presto in quanto, con la Pace di Presburgo del 26 dicembre 1806, l'Austria cedeva al Regno d'Italia il Veneto (mentre Tirolo e Vorarlberg passavano alla Baviera).

Altri tre anni di pace

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Bellegarde, rientrato a Vienna, nel 1806 venne promosso feldmaresciallo e governatore civile e militare della Galizia. Poi "governatore" dell'erede al trono.

Dopo Presburgo l'Impero austriaco venne retto da un nuovo governo, ove spiccava il Ministro degli Esteri Stadion, che s'impegnò alla ripresa della guerra contro Napoleone. In parallelo, l'arciduca Carlo e l'arciduca Giovanni riformavano l'esercito, fra l'altro introducendo, nel 1808, il servizio di leva obbligatorio.

La 5ª coalizione

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Napoleone ad Eylau

Nel 1809 Napoleone era impegnato, per il secondo anno di fila, nella repressione della Sollevazione Spagnola: Stadion ritenne maturi i tempi per la riscossa e convinse l'Imperatore alla ripresa dei combattimenti: venne battezzata Sollevazione Austriaca, in chiaro riferimento alla Spagna. L'Austria era però sola, in quanto la Prussia era sotto occupazione francese, la Russia alleata della Francia, l'Inghilterra impegnata in Spagna e, comunque, lontana.

A Bellegarde venne affidata l'estrema destra dell'esercito austriaco, con il 1º ed il 2º corpo, schierato sulla riva sinistra del Danubio. Quando Napoleone entrò dalla Baviera, diretto verso Vienna, Bellegarde si scontrò con il maresciallo Davout alla battaglia di Eckmühl, presso Ratisbona. Tagliato fuori dal grosso dell'esercito con l'arciduca Carlo, Bellegarde si ritirò in Boemia, ma fu in grado di ricongiungersi all'armata prima degli scontri decisivi.

Nel maggio 1809, infatti, l'arciduca Carlo aveva portato l'intero esercito sulla riva sinistra del Danubio, lasciando che Napoleone occupasse Vienna, indifesa. Dopodiché, lì nei pressi, i Francesi passarono in forze il Danubio, ma vennero respinti nella grande battaglia di Aspern-Essling. Un secondo tentativo, nel luglio 1809, fu assai più fortunato e permise a Napoleone di conseguire una brillante vittoria a Wagram. Ad entrambi gli scontri Bellegarde partecipò alla guida del 1º corpo e seppe segnalarsi per il proprio valore.

La sconfitta costrinse l'Imperatore a dimissionare Stadion (sostituito con Metternich, un suo stretto collaboratore) e l'arciduca Carlo e a concludere, nell'ottobre 1809, la Pace di Schönbrunn. L'Austria cedeva l'Alto Adige, Salisburgo, la Galizia occidentale con Cracovia, Tarnopol e le Province Illiriche ma, soprattutto, riduceva l'esercito a un modesto numero di 150 000 uomini e diveniva, sostanzialmente, vassallo della Francia.

Gli ultimi quattro anni di pace e riorganizzazione

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Dopo la Pace di Schönbrunn e sino al 1813, Bellegarde, con il grado di feldmaresciallo da campo, fu di nuovo nominato governatore di quel che rimaneva della Galizia. Ma era spesso richiamato a presiedere le riunioni del Consiglio Aulico di guerra, specie nel 1810, in relazione alla riorganizzazione dell'esercito austriaco.

La 6ª coalizione

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Napoleone si congeda dalla Guardia imperiale
  Lo stesso argomento in dettaglio: Caduta del Regno d'Italia.

Nel giugno 1812 Napoleone entrò in Russia varcando il Njemen con 500 000 uomini, per rientrare il 10 dicembre con poco più di 37 000 uomini. Non tutti erano morti: ad esempio, nel dicembre 1812 la Prussia dichiarò la neutralità del proprio contingente, per poi passare, il 28 febbraio 1813 all'alleanza aperta con la Russia e l'Inghilterra. L'Austria si univa solo il 20 agosto 1813 e partecipava alla vittoriosa battaglia di Lipsia il 16-19 ottobre, dopodiché Napoleone si ritirò ordinatamente oltre il Reno. Nel 1814 il prussiano Gebhard Leberecht von Blücher e l'austriaco Schwarzenberg passavano il Reno e, dopo una serie di nuove battaglie, il 31 marzo 1814 occupavano Parigi. Il 6 aprile 1814 Napoleone abdicava a Fontainebleau e, nel maggio 1814, veniva firmata la Pace di Parigi.

Nel frattempo, ad agosto, dopo l'entrata in guerra dell'Austria, Bellegarde era divenuto di nuovo presidente del Consiglio Aulico. In dicembre gli venne conferito il comando dell'armata d'Italia: aveva di fronte l'esercito del Regno d'Italia, guidato dal Viceré Eugenio di Beauharnais.

Quest'ultimo era rientrato a Milano il 18 maggio 1813 e s'era subito impegnato a ricostituire l'esercito in previsione della probabile adesione dell'Austria alla coalizione antifrancese. L'8 agosto era partito per l'Isonzo. In novembre, dopo Lipsia, si era portato sulla linea dell'Adige e poi sul vicino Mincio. Giova ricordare che, a quel punto, solo Italia e Francia erano rimaste fedeli a Napoleone.

L'esercito italiano di Eugenio di Beauharnais era piuttosto forte, gli Austriaci di Bellegarde non soverchianti e, oltretutto, il massimo sforzo strategico degli alleati della sesta coalizione era concentrato su Napoleone e la Francia. Gli alleati, quindi, cercarono di ottenere la neutralità dei vassalli di Napoleone in Italia: Murat col suo Regno di Napoli e, appunto, Eugenio con il Regno d'Italia, di cui era Viceré. Rispettivamente cognato e figlio adottivo dell'Imperatore dei Francesi.

 
Eugenio di Beauharnais

La proposta era tutt'altro che scandalosa e il primo, in effetti, acconsentì. Eugenio, invece, pur genero del Re di Baviera, decise di rimanere fedele fino all'ultimo. Il 22 novembre 1813 rifiutò, quindi, l'offerta austriaca, che gli avrebbe consentito di conservare il trono e l'indipendenza della Lombardia e del Veneto, unite all'Emilia-Romagna ed alle Marche.

L'11 gennaio 1814 Murat si alleò con l'Austria e, già il 31 gennaio, prese possesso della Toscana. Il 2 febbraio vennero rotte le relazioni fra Regno d'Italia e Regno di Napoli. Eugenio si trovava, adesso, minacciato di aggiramento da sud e Bellegarde ne approfittò per riprendere l'iniziativa, ma gli andò male: l'8 febbraio attaccò Eugenio sul Mincio e ne fu respinto. Eugenio, tuttavia, non poté sfruttare la vittoria, giacché temeva l'aggiramento da parte dell'esercito napoletano da sud.

La fine del Regno d'Italia

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L'esercito del Regno d'Italia, tuttavia, era al completo e invitto. Mentre gli eventi in Francia precipitavano, Eugenio resistette ben al di là dell'abdicazione di Napoleone (6 marzo), e persino oltre la stipula del Trattato di Fontainebleau (11 aprile).

Il 15 aprile, anzi, Eugenio convocò per il successivo 17 a Milano il Senato del Regno d'Italia per ottenere la nomina a Re. A tal fine, il 16 aprile guadagnò tempo stipulando la Convenzione di Schiarino-Rizzino, presso Mantova, che stabiliva lo sgombero delle truppe straniere da tutte le parti d'Italia non ancora invase dagli Austriaci. Al Senato, tuttavia, il tentativo venne tradito dalla migliore nobiltà milanese (Carlo Verri, Confalonieri, il generale Pino, Alessandro Manzoni, Porro Lambertenghi, fra gli altri). Il 20 aprile la folla aizzata dai traditori invadeva il Senato. Poi passava a San Fedele e massacrava il ministro Prina, che si era opposto alla congiura insieme a Melzi d'Eril. Il 21 aprile, addirittura, il Consiglio Comunale di Milano, riunitosi d'urgenza, nominò un Comitato di Reggenza Provvisoria, composta da sette membri: il fior fiore dei cospiratori. Come primo atto, il Comitato inviò delegati a Bellegarde perché mandasse truppe a occupare la città. Il 22 aprile i Collegi elettorali, convocati dal podestà Durini, abolirono il Senato.

Il progetto di Eugenio era compromesso. L'indipendenza del Regno d'Italia finita: il 23 aprile il viceré firmò a Mantova la capitolazione, con un esercito al completo e senza essere stato sconfitto dagli Austriaci. Bellegarde riferì che, partendo, Eugenio gli disse che "l'Italia è vile. Un solo ideale han le sue folle: non pagar tasse e starsene in panciolle". Eugenio avrebbe lasciato Mantova il 27 aprile per Monaco di Baviera, dove, dopo una esistenza agiata a corte, si sarebbe spento il 21 febbraio 1821. Pochi giorni prima Federico Confalonieri, insieme al suo protetto Silvio Pellico, era stato incarcerato allo Spielberg.

Il 26 aprile 1814 il commissario austriaco Sommariva prese possesso della Lombardia a nome di Bellegarde. Il 28 aprile 17 000 austriaci entrarono in Milano da Porta Romana, al comando del generale Neipperg. L'8 maggio, infine, giunse Bellegarde, sconfitto in guerra ma trionfatore nella politica.

La soppressione dell'autonomia lombarda

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l'imperatore d'Austria Francesco I

Il 14 maggio Bellegarde assunse i pieni poteri nelle province lombarde del cessante Regno d'Italia come Commissario plenipotenziario dell'Imperatore d'Austria. Il 25 maggio confermò l'operato della Reggenza Provvisoria di Governo fino a quel punto svolto, ma ne annichilì l'esistenza come istituto autonomo, nominando sé stesso come presidente al posto di Carlo Verri, mentre contemporaneamente scioglieva il Senato del Regno e il Consiglio di Stato. Il 12 giugno Bellegarde passò da Commissario plenipotenziario a Governatore generale.

Suoi primi atti furono adibire a carcere parte del convento di Sant'Antonio, spostare il patibolo da Piazza Vetra al "prato della morte", fuori dai Bastioni tra Porta Ludovica e Porta Vigentina. Adibire il palazzo del defunto Senato ad ospitare uffici dell'amministrazione imperiale, fra cui della Contabilità di Stato (lo ribattezzò, infatti, "Palazzo della Contabilità").

Subito Bellegarde iniziò la resa dei conti con la nobiltà lombarda, che pure lo aveva tanto favorito tradendo Eugenio. In primo luogo, nel luglio 1814, istituì una "Commissione aulica di Organizzazione Centrale" che si occupasse della riorganizzazione dello Stato: si trattava, per il feldmaresciallo, di smantellare i ministeri centrali del cessato Regno d'Italia e d'impedire il ritorno (tanto desiderato dalla nobiltà milanese) all'epoca di Maria Teresa, quando la Lombardia aveva goduto una marcata autonomia dall'Austria e il patriziato di ampi poteri amministrativi.

Bellegarde impose alla Commissione una linea "più moderna", con un'amministrazione fortemente centralizzata, così come era nel decaduto Regno d'Italia. Solo che, questa volta, l'accentramento non fu nelle mani di un governo a Milano (ancorché sotto protettorato francese) bensì dell'amministrazione centrale viennese. Il Regno Lombardo-Veneto (annunciato con proclama il 7 aprile 1815), infatti, si rivelò, fin dall'inizio, poco più che una finzione: le competenze del viceré (il primo sarà l'Arciduca Ranieri che era tedesco e fratello dell'Imperatore) furono meramente simboliche.

In secondo luogo, per perfezionare l'opera, la Reggenza del Bellegarde inviò al Congresso di Vienna (aperto il 1º novembre 1814) due suoi rappresentanti italiani: Giacomo Mellerio e Alfonso Castiglioni. Essi si fecero portavoce della linea "autonomista" della nobiltà lombarda, ma non ebbero alcuno spazio (avendo tradito Eugenio e consegnato Milano senza pattuire nulla in cambio). In cambio Mellerio si segnalò in tutta Vienna per aver "speso una fortuna" donando stecche di cioccolato a tutte le persone influenti della capitale austriaca.

Il 7 aprile 1815 veniva annunciata la costituzione degli "stati austriaci in Italia" in un nuovo Regno Lombardo-Veneto, di cui Bellegarde venne nominato luogotenente del Viceré (ancora da nominare). Unica soddisfazione per i Lombardi: la definitiva riannessione della Valtellina, ma a fronte della perdita, definitiva, del Canton Ticino.

La soppressione dell'esercito del Regno d'Italia

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Nel frattempo Bellegarde si occupava delle cose serie: alla capitolazione di Eugenio il Regno d'Italia disponeva ancora di un esercito con 45 000 uomini, addestrato, disciplinato e, soprattutto, invitto. Il 13 giugno 1814 dava un segnale, impartendo all'esercito il divieto d'indossare coccarde tricolori. Gli ufficiali francesi venivano licenziati in massa e sostituiti da Austriaci. La repressione (nell'ottobre 1814) di un possibile pronunciamento militare, abbozzato dal generale Lechi e dall'avvocato Lattuada, fornì a Bellegarde l'occasione per liberarsi degli ufficiali italiani più anti-austriaci (curioso notare che, sino a pochi mesi prima, si fossero distinti come anti-francesi). A dicembre i reparti cominciarono a essere trasferiti verso nuove guarnigioni al di là delle Alpi, sparse per lo sterminato Impero austriaco. L'opera venne compiuta il 30 marzo 1815, quando Bellegarde impose agli ufficiali dell'esercito del Regno d'Italia di giurare fedeltà all'Impero austriaco; ciò che spinse Ugo Foscolo, la notte del 31 marzo a fuggire in Svizzera e, di lì, a Londra.

La fine di Gioacchino Murat

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Gioacchino Murat

L'opera di Bellegarde, tuttavia, sarebbe stata imperfetta se egli avesse permesso la sopravvivenza dell'ultimo regno indipendente italiano non vassallo dell'Austria: il Regno di Napoli di Gioacchino Murat. L'occasione gli venne offerta il 15 marzo 1815, quando Murat dichiarò guerra all'Austria, iniziando così la guerra austro-napoletana. Il 30 marzo Murat, con circa 27 000 uomini, si portò a Rimini e vi diffuse il famoso Proclama, nel quale si dichiarava promotore e difensore dell'unità e della libertà italiane. Esso seguiva di poco più di un mese la fuga di Napoleone dall'Elba.

Il 5 aprile Bellegarde rispose con un "contro-proclama di Milano" ove affermava che "la Germania era scesa con numerose truppe a sola difesa d'Italia" e dispose lesto dell'armata austriaca in Italia (circa 50 000 uomini), costituendone una parte (circa 25 000 uomini) in corpo di spedizione (affidato al generale viennese di padre comasco Federico Bianchi, sotto l'alto comando di Johann Maria Philipp Frimont). Il 2 maggio Gioacchino Murat fu sconfitto nella battaglia di Tolentino e il 19 maggio s'imbarcò per la Francia. Il 2 giugno rientrò a Napoli il legittimo re Ferdinando IV di Borbone, accolto in trionfo dal popolo. Di lì a pochi giorni, il 9 giugno, si concluse il Congresso di Vienna: Napoleone venne sconfitto a Waterloo (18 giugno), abdicò e partì per l'esilio a Sant'Elena (22 giugno). Il successivo 13 ottobre la partita con Murat si concluse mestamente con la sua fucilazione a Pizzo Calabro, dove era sbarcato il 5 ottobre precedente.

Il perfezionamento della Restaurazione

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L'Italia come disegnata dal Congresso di Vienna

Il compito di Bellegarde poteva dirsi assolto e, per sancirlo, si provvide a organizzare una visita del nuovo Imperatore tedesco, Francesco I con moglie al seguito. Entrarono in Milano il 31 dicembre 1815, da Porta Orientale: Carlo Porta e Vincenzo Monti composero saluti benauguranti. Il 2 gennaio 1816 si provvide, quindi, a sopprimere la Reggenza Provvisoria di Governo, sostituita da un "imperiale regio governo", presieduto dal governatore, feldmaresciallo Bellegarde, secondo gli ordinamenti del Regno Lombardo-Veneto, che entravano da quel giorno in vigore. Il giorno prima entravano in vigore i codici civile (peraltro molto migliore di quello napoleonico, soprattutto per quanto riguarda il diritto di famiglia[senza fonte]) e penale austriaci.

Alla nobiltà milanese venne lasciato il governo della "Imperial Regia Congregazione Municipale", ridotta dei comuni circostanti che vennero resi di nuovo autonomi. Attraverso di essa al patriziato milanese venivano lasciate le seguenti competenze: manutenzione di edifici comunali, chiese parrocchiali e strade interne, stipendi dei propri dipendenti e polizia locale. Dell'ordine pubblico, infatti, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto l'esercito imperiale. Tutto il resto (censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle amministrazioni provinciali) era nelle mani del governatore, austro-tedesco e del suo governo. Vienna agiva poi direttamente attraverso un "Magistrato camerale" (monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), l'Ufficio della Contabilità, la Direzione generale della Polizia.

Bellegarde venne quindi congedato e sostituito (il 21 aprile 1816) come governatore della Lombardia dal conte Saurau, già governatore di Milano dal 21 aprile 1815 al seguito del feldmaresciallo. Per non lasciare spazio a equivoci, quest'ultimo, non appena arrivato, provvide ad arricchire il portale del palazzo del governo, a rifare la facciata del Palazzo di Giustizia e ad ampliare il recinto delle carceri.

Egli venne raggiunto, il 24 febbraio 1819, dal conte Giulio Strassoldo, in coppia con il nuovo Viceré, il gentile ma superfluo arciduca Ranieri entrato in Milano il 24 maggio successivo.

I rapporti con la popolazione

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Il governo di Bellegarde si contraddistinse per la mitezza del controllo poliziesco. È significativo che le cronache richiamino pochi episodi: ad esempio, alcuni giorni dopo la fuga di Napoleone dall'Elba, il 7 e 8 marzo 1815 Bellegarde fece arrestare alcuni milanesi che si erano permessi di brindare all'Imperatore dei Francesi. Anche gli artefici del progettato pronunciamento militare italiano del 1814, vennero condannati al massimo a due anni di fortezza.

Tale comportamento appare in stridente contrasto con la dura (comunque non più di quella che aveva caratterizzato il regime dittatoriale napoleonico) repressione poliziesca che avrebbe contraddistinto l'intera esistenza del Regno (a Milano dal 1820 circa, sino al 1859). Ed è a tale contrasto che si riferiscono le fonti austriache[quali fonti?] quando affermano che il governatore "guadagnò la stima delle popolazioni per la dolcezza della sua amministrazione" e che "amministrò la Lombardia con immutata saggezza".

Probabilmente Bellegarde dovette essere più prudente dei suoi successori (ad esempio Strassoldo) in quanto la situazione era potenzialmente instabile: la burocrazia (completamente rinnovata dai Francesi) diffidente se non ostile, la centralizzazione privava la nobiltà dell'accesso a prestigiose cariche di governo, i liberali vedevano cadere ogni prospettiva di rinnovamento politico, il debito pubblico era enorme, i disoccupati e gli sbandati numerosi, la carestia incombente (il 1º-2 luglio 1815 erano stati saccheggiati a Milano alcuni forni).

Ma Bellegarde ebbe anche il vantaggio di apparire colui che portava la pace dopo decenni di guerre: nel 1815 veniva inaugurato l'arco di Porta Ticinese di Cagnola con un'iscrizione dedicata alla pace (mentre Eugenio di Beauharnais l'avrebbe dedicata a Napoleone). Lo stesso avvenne con l'Arco della Pace (che i francesi avrebbero battezzato "Arco della Vittoria"). Nel "contro-proclama del 5 aprile 1815" uno egli argomenti forti del Bellegarde era stato che Murat voleva "riaccender per tutto il fuoco devastatore della rivoluzione ... col simulacro della indipendenza italiana".

Nel primo quinquennio della restaurazione molti italiani concessero al governo imperiale perlomeno il beneficio del dubbio. I successori di Bellegarde, al contrario, dovettero affrontare l'opposizione molto più motivata della Carboneria eppoi quella, ideologizzata e spesso pronta al martirio, di Mazzini.

Come vicino di casa, infine, Bellegarde, lui stesso di origine savoiarda, ebbe a che fare con il Regno di Sardegna di Vittorio Emanulele I: i suoi successori, al contrario, si trovarono di fronte Carlo Alberto e Cavour.

La politica culturale nel Lombardo-Veneto

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Stendhal

La Milano degli anni di Bellegarde era una città importante e vitale. Proprio a Milano erano attivi praticamente tutti i letterati del canone letterario italiano di quegli anni: tale monopolio meneghino di tutti i talenti nazionali era stato permesso dall'elezione della città a capitale del Regno d'Italia. E, infatti, non si ripeté mai più.
Ovvio che gli Austriaci ne fossero informati: Bellegarde non poteva esimersi dal tentare una qualche politica culturale. Cominciò tradizionalmente, ripristinando, il 1º agosto 1814, la Compagnia di Gesù. Più tardi (1º marzo 1816) impose l'austriaco conte di Gaisruck ad arcivescovo di Milano. Nacque poi il mensile Biblioteca Italiana, affidato a Giuseppe Acerbi, dalla cui crisi sarebbe sorto Il Conciliatore, costretto a chiudere di lì pochi mesi. La redazione e i suoi finanziatori (il meglio della nobiltà lombarda, da Confalonieri a Lambertenghi) si sarebbe presto ritrovata nella Carboneria e, di lì, in esilio o allo Spielberg.

In effetti (come ricorderà più tardi il Foscolo) sin da prima del tramonto di Napoleone, l'Austria aveva preso a largheggiare nella promessa di "liberi istituti", cercando di "attrarre a sé l'opinione pubblica italiana col miraggio di quella stessa libertà che Napoleone aveva finito col soffocare in Italia". Ma né Bellegarde né il Saurau né l'Imperatore avevano alcuna intenzione di mantenerle. Finché gli riuscì, il feldmaresciallo Bellegarde giocò sull'equivoco. Come fu dimostrato dalla pubblicazione, in quei primi tempi, di una raccolta (anonima ma dedicata al Bellegarde) intitolata Serie di Vite e Ritratti de' famosi personaggi degli ultimi tempi, di tono piuttosto liberale (ad esempio si parla molto di Simón Bolívar).

L'evidente fallimento della politica culturale di Bellegarde è tanto più evidente se si considera che, proprio sotto il suo governatorato, Manzoni componeva la poesia Il proclama di Rimini (che sarà poi diffusa solo nell'aprile 1848, assieme a Marzo 1821), dedicandola all'alter-ego di Eugenio di Beauharnais, Gioacchino Murat. Il ripensamento del partito degli "Italici", che si era opposto al tentativo di Eugenio di Beauharnais dovette essere, poi, generale, se è vero che il 20 aprile 1816 veniva diffusa manoscritta la Prineide, operetta "politica", in cui compariva il fantasma del povero ministro Prina: l'autore, Tommaso Grossi, espiò con due giorni di prigione (24-26 gennaio 1817).

Per Bellegarde poco valeva, quindi, che si spegnessero tutti i sostenitori del Beauharnais, come Francesco Melzi d'Eril, morto il 16 gennaio 1816 e sepolto nella sua villa di Bellagio. L'ostilità del ceto dirigente lombardo non era matura, ma già appariva spessa, diffusa, e avrebbe impedito il coagularsi di un vero consenso politico attorno agli Asburgo.
In definitiva, il fallimento della politica culturale austriaca lasciava il governo imperiale a reggersi unicamente sulla propria forza militare e sulla remissività della popolazione.

Conclusioni

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Il Feldmaresciallo Bellegarde in una litografia di Josef Kriehuber del 1844, un anno prima della sua morte

Bellegarde, partito da Milano, si recò a Parigi, senza missioni o cariche ufficiali. Dopo qualche tempo venne richiamato al consiglio aulico di guerra a Vienna, che presiedette, per la terza volta, dal 1820 (in sostituzione di Schwarzenberg). Alla fine del 1817 lo raggiunse il suo sodale Saurau (chiamato anche alla Cancelleria imperiale): evidentemente, i loro servigi in Italia erano stati apprezzati.

Il feldmaresciallo, rimase presidente del consiglio aulico sino al 1825, quando la crescente debolezza della vista l'obbligò a ritirarsi. Morì molto più tardi, il 22 luglio 1845, a Vienna.

Onorificenze

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Onorificenze austriache

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Onorificenze straniere

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  1. ^ Heinrich von Zeißberg, Thugut, Johann Amadeus Franz de Paula, in Allgemeine Deutsche Biographie (ADB), Tomo 38, p. 138-158, Lipsia, 1894.

Bibliografia

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  • (EN) Digby Smith, The Napoleonic Wars Data Book. London: Greenhill, 1998. ISBN 1-85367-276-9
  • (DE) Karl von Smola, Das Leben des Feldmarschalls Heinrich Graf von Bellegarde (Vienna, 1847).
  • (DE) Bellegarde Heinrich Graf in: Österreichisches Biographisches Lexikon 1815-1950 (ÖBL). Band 1, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 1957, S. 66 f. (Direktlinks auf S. 66, S. 67).
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  • (DE) von L., Bellegarde, Heinrich Graf von, in Allgemeine Deutsche Biographie, vol. 2, Lipsia, Duncker & Humblot, 1875, p. 305.
  • (DE) Constantin von Wurzbach, Bellegarde, Friedrich Heinrich Graf von in: Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich. Band 1. Verlag L. C. Zamarski, Wien 1856-1891, S. 243 (auf Wikisource).
  • (DE) Jaromir Hirtenfeld, Der Militär-Maria-Theresien-Orden und seine Mitglieder, Wien 1857, S.756-761

Voci correlate

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