La nave bianca

film del 1941 diretto da Francesco De Robertis e Roberto Rossellini

La nave bianca è un film italiano del 1941 diretto da Roberto Rossellini con la supervisione di Francesco De Robertis. Esordio alla regia di Rossellini, è la prima parte di una "trilogia della guerra fascista" che continua con Un pilota ritorna (1942) e L'uomo dalla croce (1943).

La nave bianca
Il passaggio della nave al porto di Taranto
Lingua originaleitaliano
Paese di produzioneItalia
Anno1941
Durata69 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,33:1
Genereguerra
RegiaRoberto Rossellini
SoggettoFrancesco De Robertis
SceneggiaturaFrancesco De Robertis
Roberto Rossellini
Produttore esecutivoCesare Girosi
Casa di produzioneScalera Film
Centro Cinematografico del Ministero della Marina
Distribuzione in italianoScalera Film
FotografiaGiuseppe Caracciolo
MontaggioEraldo Da Roma
MusicheRenzo Rossellini
ScenografiaAmleto Bonetti

Durante la seconda guerra mondiale, i marinai imbarcati su una nave da battaglia della Regia Marina Italiana, intrattengono una fitta corrispondenza epistolare con le madrine di guerra. Il marò fuochista Augusto Basso scambia le sue lettere con Elena Fondi, una maestrina di scuola elementare.

Elena ha diviso in due pezzi una medaglietta, metà l'ha tenuta lei e metà l'ha inviata ad Augusto. I due si danno appuntamento alla stazione ferroviaria di Taranto, ma quando Augusto sta per sbarcare, la nave salpa improvvisamente per prendere parte ai combattimenti di Punta Stilo e di Capo Teulada.

Durante i combattimenti, molti marinai vengono feriti tra cui lo stesso Basso che deve subire un intervento chirurgico. Caricato sull'idrovolante sanitario viene trasferito sulla nave ospedale Arno e affidato alle cure delle Infermiere del Corpo Volontario. Tra queste vi è anche Elena.

Elena riconosce Augusto attraverso la medaglietta, ma decide di non svelare la sua identità. Tutti i feriti sono preoccupati per la sorte della loro nave che ancora non ha fatto ritorno in porto. Elena si fa dettare da Augusto una lettera indirizzata a se stessa e gli scrive una lettera di risposta. Dopo avergliela letta Augusto si accorge della medaglietta indossata da Elena e la riconosce.

La nave rientra finalmente in porto, tutti i compagni di Augusto escono sul ponte per salutarla mentre lui è ancora immobilizzato a letto. Con l'aiuto di Elena che lo abbraccia e lo solleva riesce anche lui a vedere il passaggio della nave attraverso l'oblò.

Produzione

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Prodotto da Cesare Girosi (anche aiuto regista) per il Centro Cinematografico della Marina, il film è stato distribuito dalla Scalera Film. La supervisione del progetto è di Francesco De Robertis (già regista di Uomini sul fondo, di ambientazione analoga), anche sceneggiatore insieme a Rossellini.

Il supporto del Ministero ha reso possibili le riprese in ambientazioni reali, invece che in ambienti ricostruiti in studio. Gran parte del film è stata girata sulla nave ospedaliera Arno e su una nave da guerra. Il cast è interamente composto da attori non professionisti, molti dei quali membri dell'equipaggio della nave ospedaliera.

Distribuzione

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Dopo la presentazione al Festival di Venezia del 1941, La nave bianca è uscito nelle sale italiane il 14 settembre 1941. In Francia è uscito nel 1943 con il titolo Le navire blanc. Dopo la fine della guerra è stato concesso il nulla osta per l'esportazione. Nei paesi di lingua inglese il film è noto con il titolo The White Ship.

Critica

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«Rossellini mette subito in luce le sue capacità di raccontare cercando di aggirare con tutti i mezzi il ricorso a figure retoriche forti. Il suo cattolicesimo lo fa porre al di là di un'ottica coinvolta nella contingente ideologia bellicista, così come le sue scelte antispettacolari sono forse scelte di etica a cui resterà per sempre legato. Lo stile dimesso, l'immediatezza della costruzione dell'inquadratura non risultano affatto centrifughe rispetto alle direttive del regime, ma neppure ne esaltano la vis guerresca[1]»

  1. ^ Gian Piero Brunetta, "Cinema italiano dal sonoro a Salò", in Storia del cinema mondiale, vol. III, Einaudi, Torino, 2000, p. 355.

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