Linguaggio burocratico

socioletto

Il linguaggio burocratico (burocratese in senso dispregiativo),[1] nell'ambito della burocrazia una forma di linguaggio tipica in varie lingue della pubblica amministrazione, con un'accezione in parte negativa per indicare un linguaggio verboso e pedante[2].

Un documento di ufficio austriaco del 1809

Terminologia

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Sebbene il termine venga utilizzato da alcuni parlanti per designare implicitamente il modo di esprimersi della amministrazione nella propria lingua, il termine designa un fenomeno comune a molti Paesi in cui si adottano diverse lingue ufficiali. Per esempio, in lingua norvegese è comparsa in alcuni casi l'espressione "bambini in situazione scolastica" invece del più comune "scolari", che è stata presa ad esempio di cattivo stile[3].

Il termine è traducibile in tedesco come Verwaltungssprache (lingua dell'amministrazione), in francese come jargon bureaucratique (gergo burocratico) e in inglese come officialese (termine attestato da fine Ottocento)[4] o talvolta legalese, tutti termini che hanno in teoria un valore neutrale (per indicare il tedesco burocratico nello specifico si può usare il termine Beamtendeutsch o Amtsdeutsch e per l'inglese burocratico civil servant's English o bureaucratic English).

Il sinonimo burocratese (che talvolta indica nello specifico l'italiano burocratico) è attestato in italiano dal 1979[4].

Il linguaggio burocratico in Italia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Italiano burocratico.

Prima dell'Unità

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Sebbene ogni Stato e Regno della Penisola avesse un apparato amministrativo proprio con proprie consuetudini linguistiche, si può parlare di vero e proprio linguaggio burocratico italiano solo a partire dall'Unità. E' infatti solo nel momento della creazione dello Stato italiano che inizia a costruirsi un apparato burocratico sovranazionale, in grado di operare da intermediario tra la legge e i cittadini. Tuttavia, l'interesse dei linguisti e degli intellettuali per il linguaggio burocratico nella Penisola è attestato fin da prima dell'Unità.[5]

Già nei Promessi Sposi (1840), ad esempio, Manzoni affidava a Renzo, umile filatore di seta, varie riflessioni sull'uso spregiudicato che i privilegiati in grado di dominare il linguaggio facevano della lingua della legge[6]. Nel capitolo II, il protagonista incontra Don Abbondio e si indispettisce del fatto che questi usi il latino come arma per confonderlo e per deresponsabilizzarsi. Nel capitolo XIV il Manzoni torna sul tema nel momento in cui Renzo, nell'aizzare la folla, si scaglia contro i potenti ("loro") che usano la loro proprietà di linguaggio e le loro conoscenze specialistiche a discapito dei più deboli:

“Ma la ragione giusta la dirò io,” soggiunse Renzo: “è perchè la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche un’altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po’ di..... so io quel che voglio dire.....” [...] “e s’accorgono che comincia a capir l’imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter dell’usanze! Oggi, a buon conto, s’è fatto tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giustizia.”[6]

In questo passaggio, Renzo ammette di riconoscere l'importanza della giustizia, tant'è che secondo lui dovrebbe essere questa a risolvere i malumori sollevati dalla piazza. Tuttavia, invoca l'uso del volgare, e non del latino: solo in questo modo le questioni legali potrebbero essere comprese da tutti e quindi, forse, essere più giuste.

Sebbene Manzoni si riferisse principalmente al linguaggio giuridico, si potrebbe considerare questa una prima riflessione sul linguaggio della burocrazia. Infatti, giacché l'apparato burocratico è pensato per diffondere tra i cittadini ciò che viene sancito dalle leggi, il linguaggio della burocrazia è considerato una derivazione di quello della legge.

Dall'Unità d'Italia

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In una neonata Italia i cui cittadini parlavano una miriade di dialetti regionali diversi, in cui i tassi di analfabetismo si attestavano attorno al 70% (circa 54% al nord e 90% al sud[7]) pochi erano gli elementi che potevano determinare un'omogeneizzazione linguistica in tutta la penisola. Senza dubbio l'uso dell'italiano, o quantomeno lo sviluppo di zone di intercomprensione tra parlanti di dialetti diversi, furono favoriti dalla leva militare obbligatoria - già in uso nel Regno sabaudo e ampliata a tutto il nuovo Stato. [pagina in costruzione]

La spiegazione sociologica

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L'eziologia del fenomeno si divide tra una posizione che difende la buona fede del pubblico amministratore, vittima di leggi incomprensibili[8], e una posizione opposta, secondo cui il fenomeno è frutto della ricerca di una rendita di posizione[9].

I limiti nella comunicazione

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Un'altra spia della diffusione un po' in tutto il mondo della critica al linguaggio burocratico è l'impegno di molti governi per correggere i limiti comunicativi della scrittura amministrativa tradizionale[4][10][11][12].

  1. ^ Burocratese, su treccani.it.
  2. ^ officialese, in The Free Dictionary. URL consultato il 3 febbraio 2022.
  3. ^ (NO) Aftenposten Archiviato il 24 gennaio 2007 in Internet Archive.
  4. ^ a b c Il burocratese | Treccani, il portale del sapere, su treccani.it. URL consultato il 3 febbraio 2022.
  5. ^ Francesca Fusco, IL LINGUAGGIO DEL DIRITTO E DELLA BUROCRAZIA NEL XIX SECOLO TRA APERTURE E ISTANZE PURISTICHE, in Italiano LinguaDue, vol. 8, n. 1, 2016.
  6. ^ a b Alessandro Manzoni, I promessi sposi, a cura di Luigi Russo, Firenze, La Nuova Italia, 1967.
  7. ^ Il problema del Mezzogiorno » Il divario di partenza, su 150anni.it.
  8. ^ Di fronte alla impronta vagamente sociologica di molte leggi e alla crescente tortuosità delle norme legislative i funzionari reagiscono, rifugiandosi in paradigmi di scrittura ancorati a schemi “tradizionali”. Tutto ciò favorisce forme di linguaggio a “circuito chiuso “ nelle quali gli unici veri danneggiati sono i componenti della collettività: v. Stefano Sepe, Linguaggio e potere: oscurità delle leggi e del lessico burocratico, in Scuola superiore della pubblica amministrazione, La semplificazione del linguaggio amministrativo, p. 5.
  9. ^ Comunicazioni di diversa natura, specialmente quelle dirette ai cittadini, devono raggiungere una certa lunghezza per motivare lo stipendio: perciò, informazioni che richiederebbero sì e no un paio di cartelle vengono dilatate follemente per raggiungere un'inoppugnabile lunghezza. In questo modo lo scribacchino di turno, magari assunto come consulente esterno per la comunicazione, potrà trionfalmente portare a casa il risultato di sei o sette cartelle piene di refusi e soperchierie retoriche: Antonio Romano, La lingua dei doppiatori, in Mondoperaio, n. 11-12/2015, p. 50.
  10. ^ Corriere della Sera - Home Page, su corriere.it. URL consultato il 3 febbraio 2022.
  11. ^ (EN) Dictionary of French administrative terms published, su the Guardian, 18 febbraio 2005. URL consultato il 3 febbraio 2022.
  12. ^ Linguaggio amministrativo chiaro e semplice - manuali, su maldura.unipd.it. URL consultato il 3 febbraio 2022.

Bibliografia

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  • Michele Cortelazzo; Pellegrino, Federica. 2003. Guida alla scrittura istituzionale. Roma / Bari, Laterza.
  • Alfredo Fioritto. 1997. Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Bologna, il Mulino.
  • Daniele Fortis. 2005. "Il linguaggio amministrativo italiano." Revista de Llengua i dret, n. 43, pp. 47–116.
  • Fabrizio Franceschini, Sara Gigli. 2003. Manuale di scrittura amministrativa. Roma, Agenzia delle entrate.
  • Maria Emanuela Piemontese. 1996. Capire e farsi capire. Teorie e tecniche della scrittura controllata, Napoli, Tecnodid.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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