Qoelet

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Qoelet (o Ecclesiaste), testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, tradizionalmente attribuito a Salomone.

 
Ecclesiaste
(Gustave Doré, 1866)

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna.


Citazioni

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  • Tutti i fiumi vanno al mare, | eppure il mare non è mai pieno: | raggiunta la loro mèta, | i fiumi riprendono la loro marcia. (1, 7)
Tutti i fiumi vanno al mare e il mare non cresce.[1]
  • Tutte le cose sono in travaglio | e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. | Non si sazia l'occhio di guardare | né mai l'orecchio è sazio di udire. | Ciò che è stato sarà | e ciò che si è fatto si rifarà; | non c'è niente di nuovo sotto il sole. (1, 8 – 9)
  • Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché molta sapienza, molto affanno; | chi accresce il sapere, aumenta il dolore. (1, 17 – 18)
  • Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è il vantaggio della luce sulle tenebre: Il saggio ha gli occhi in fronte, | ma lo stolto cammina nel buio. | Ma so anche che un'unica sorte | è riservata a tutt'e due. (2, 13 – 14)
  • Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, | un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. [...] Un tempo per amare e un tempo per odiare, | un tempo per la guerra e un tempo per la pace. (3, 1 – 8)
  • Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. Dio agisce così perché si abbia timore di lui. Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è; Dio ricerca ciò che è già passato. (3, 14 – 15)
  • Poi riguardo ai figli dell'uomo mi son detto: Dio vuol provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere | e tutto ritorna nella polvere. Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra? (3, 18 – 21)
  • Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto. (4, 9 – 12)
  • Dalle molte preoccupazioni vengono i sogni | e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto. (5, 2)
  • Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare a soddisfarlo, perché egli non ama gli stolti: adempi quello che hai promesso. È meglio non far voti, che farli e poi non mantenerli. (5, 3 – 4)
  • Con il crescere dei beni i parassiti aumentano e qual vantaggio ne riceve il padrone, se non di vederli con gli occhi? (5, 10)
  • Un buon nome è preferibile all'unguento profumato | e il giorno della morte al giorno della nascita. (7, 1)
  • È preferibile la mestizia al riso, | perché sotto un triste aspetto il cuore è felice. (7, 3)
  • Il cuore dei saggi è in una casa in lutto | e il cuore degli stolti in una casa in festa. | Meglio ascoltare il rimprovero del saggio | che ascoltare il canto degli stolti: | perché com'è il crepitio dei pruni sotto la pentola, | tale è il riso degli stolti. (7, 4 – 6)
  • Non esser facile a irritarti nel tuo spirito, perché l'ira alberga in seno agli stolti. (7, 9)
  • [...] non fare attenzione a tutte le dicerie che si fanno, per non sentir che il tuo servo ha detto male di te, perché il tuo cuore sa che anche tu hai detto tante volte male degli altri. (7, 21 – 22)
  • La sapienza rende il saggio più forte di dieci potenti che governano la città. (7, 19)
  • Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso. (7, 26)
  • Dio ha fatto l'uomo retto, | ma essi cercano tanti fallaci ragionamenti. (7, 29)
  • Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della sua morte, né c'è scampo dalla lotta; l'iniquità non salva colui che la compie. (8, 8)
  • Perciò approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità, sotto il sole, che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole. (8, 15)
  • Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti e anche il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza alberga nel loro cuore mentre sono in vita, poi se ne vanno fra i morti. Certo, finché si resta uniti alla società dei viventi c'è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto. I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. (9, 3 – 5)
  • Ho visto anche sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la guerra e neppure dei sapienti il pane e degli accorti la ricchezza e nemmeno degli intelligenti il favore, perché il tempo e il caso raggiungono tutti. (9, 11)
  • È meglio la sapienza della forza, | ma la sapienza del povero è disprezzata | e le sue parole non sono ascoltate. | Le parole calme dei saggi si ascoltano | più delle grida di chi domina fra i pazzi. | Meglio la sapienza che le armi da guerra, | ma uno sbaglio solo annienta un gran bene. (9, 16 – 18)
  • Chi scava una fossa ci casca dentro | e chi disfà un muro è morso da una serpe. (10, 8)
  • Se il ferro è ottuso e non se ne affila il taglio, bisogna raddoppiare gli sforzi; la riuscita sta nell'uso della saggezza. Se il serpente morde prima d'essere incantato, non c'è niente da fare per l'incantatore. (10, 10 – 11)
  • Getta il tuo pane sulle acque, perché con il tempo lo ritroverai. Fanne sette od otto parti, perché non sai quale sciagura potrà succedere sulla terra. (11, 1 – 2)
  • Sta' lieto, o giovane, nella tua giovinezza, | e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. | Segui pure le vie del tuo cuore | e i desideri dei tuoi occhi. | Sappi però che su tutto questo | Dio ti convocherà in giudizio. (11, 9)
  • [...] i libri si moltiplicano senza fine ma il molto studio affatica il corpo. (12, 12)

Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto.
Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male.

Citazioni sul Qoelet

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  • Col pensiero Qohelet ha osato affermare che «si sa cosa sia uomo» ma proprio la scoperta che esso è un grumo di contraddizioni, che esso naviga nell'oceano del nulla senza saper predire neppure quanto accadrà a sera, lo induce ad andare oltre. La «vanità» che presenta «tutto come un ossimoro inutile» è alla fine un serpente che tenta. Cedutogli, non si conosce solo l'abisso della maledizione ma anche il sorgere della benedizione. «Il già detto è ancora da ridire» ma non in vana reiterazione bensì in novità di senso. [...] Quel Dio che «gioca a sorpresa nell'intrico delle cause», rivelandosi insensato, ha in Cristo una «pienezza di follia» che è il senso autentico e trascendente del tutto. (Gianfranco Ravasi)
  • [Qoelet rende] cosciente l'uomo della sua miseria, ma anche della sua grandezza, mostrandogli che questo mondo non è degno di lui. Spinge l'uomo a una religione disinteressata, a una preghiera che sia l'adorazione della creatura cosciente del suo nulla, in presenza del mistero di Dio (cf. Sal 39). (La Bibbia di Gerusalemme)
  • È di grande importanza che Qohèlet sia stato incluso nel canone biblico. Ciò significa che una religiosità così laica, conflittuale, critica, negatrice di tutta la tradizione, è legittimata addirittura come parola di Dio. Non dobbiamo vedere in questo qualcosa di contraddittorio, quanto piuttosto una implicita ammonizione a coloro che si adagiano soddisfatti nel pensare religioso e che considerano il pensare laico un affronto fatto a Dio. (Paolo De Benedetti)
  • Fin dal primo versetto del Qohèlet si viene trasportati da una corrente ininterrotta di suoni, incantatoria, quasi ipnotica [...]. Si hanno le orecchie in estasi e al tempo stesso si è totalmente vigili. (Doris Lessing)
  • Il vento di K. viene dal deserto e dal passato remoto della creazione, non incontra niente a fermarlo né a riempirlo, ha come sola compagnia la polvere che si alza. [...] Eppure K. non si ripara, si lascia avvolgere, si espone a quel soffio perpetuo che prosciuga. K. osa riempire il vento con le parole del suo affanno. Accetta che si disperdano nel passaggio dal proprio fiato al soffio che le smembra. Solo una provvidenza che lui ignora innesterà i suoi versi in un canone sacro e li renderà indelebili. Lui non guarda, non si sporge al di là di un figlio cui trasmetterli. Mai ha pensato a noi. Eppure a lui è stato dato di riempire il vento di Elohìm, il "merahèfet" che alita per sempre, con la zavorra sacra del suo grido: Havèl havalìm. (Erri De Luca)
  • L'Ecclesiaste è il più intelligente dei libri. Come a dire che non è un libro triste. È al contrario un libro felice. Afferma che è del tutto inutile fare qualunque cosa. Che «bisogna rallegrarsi», servirsi delle «ragazze del canto» (non dice espressamente che bisogna rallegrarsi di loro, ma allude al giorno in cui non ci saranno più; dunque sono esistite, ed esistite a sufficienza dato che viene rimarcato il giorno della loro sparizione). E che tutto il resto è pascolo del vento. (Henry de Montherlant)
  • Qoelet è un «picco» della Bibbia: un libro-vetta; meglio, un libro che ti porta senza rimedi al fondo dell'abisso. Gli abissi non sono che montagne rovesciate, vette che si fanno fondi oscuri del mistero. Tale è il libro di Qohelet: un autore, forse l'unico, che sia fra tutti un vero ateo. (David Maria Turoldo)
  • Qohélet è un rotolo orientale in cui ritroviamo un tipico orrore del più moderno Occidente, l'orrore di essere mangiati dal Tempo, di non avere neppure il tempo di finire il boccone. (Guido Ceronetti)
  • Qoelet è [...] uno che combatte dall'interno, a piena carica, quanto ogni pessimista della terra mai si è sognato o si sognerà. Ed è per merito suo che nella Bibbia – il «Grande Libro» [...] anche i più radicali negatori trovano una loro collocazione, una loro ospitale dimora: il vero Dio, l'Ineffabile, cioè il nostro Dio, li accoglierà... (David Maria Turoldo)
  • Teologi e poeti [...] devono ritornare ad essere «antenne tese sul mondo giorno e notte». Soprattutto nelle notti piovose, come quelle dal cui fondo emerge Qohelet, l'impressionante sapiente biblico, «sacerdote del Nulla», il «cui tenebroso canto» ha la «nera bellezza» dei canti sereni e disperati perché, secondo il verso di De Musset, sono «i canti più disperati a essere i più belli». [...] Attraverso la «rasura delle parole» ormai logore e inutili, simili a spade spuntate, Qohelet scopre che «è legge che Ragione deve contraddirsi». Disperazione e contraddizione diventano categorie del pensiero; esse consumano tutta la logica della ragione ma da questo olocausto emerge il bagliore della verità. Il campo dei dubbi non è sgominato dagli argomenti, «non sai se il nulla sia» e neppure sai quanto possa salvare quel «piccolo Dio» che Qohelet chiama sempre col generico ha-’Elohîm, «la divinità», mai col tetragramma di fuoco Jhwh dell'Esodo liberatore. Eppure questo vuoto [...] non è solo negazione, ha celata in sé una sua fecondità. Disperandosi nella sua impotenza, la Ragione rimanda ad altro [...] È così che anche in Qohelet sembra prender corpo la legge paradossale del seme che, morendo, genera. (Gianfranco Ravasi)
  1. Versione di Cipriano di Valera; citato in Jorge Luis Borges, Cos'è il buddismo, a cura di Francesco Tentori Montalto, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 2012, p. 64. ISBN 978-88-541-3510-9

Bibliografia

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