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==#==
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[[File:ImmagineAutore|600px|center|thumb|Descrizione]]

<section end=# />
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Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira:
per che di giugner lui ciascun contende.


Pg XVII, 127-29

 
Bronzino, Ritratto allegorico di Dante (1530)
Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.

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La forma latina di scrivere, sposata nel Boccaccio e nell'Alberti alla grazia e al brio del dialetto, così nuda e astratta ha la sua espressione pedantesca negli Asolani del Bembo, e giunge a tutto quel grado di perfezione di cui è capace nel Galateo del Casa e nel Cortigiano del Castiglione.

Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cap. XII.

 
Pietro Bembo nella Scuola di Atene di Raffaello, ritratto nei panni di Zoroastro; poco a lato l'autoritratto dell'artista.

Havvi poi d'Adria ancor canoro mostro,
purpureo cigno e nobile e gentile,
che la lingua ha di latte e'l manto d'ostro,
rossa la piuma e candido lo stile.


—Allegoria del Bembo
di Giovan Battista Marino, Adone, IX,179


Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

Dal signor Geri mi viene avvisato in qual termine Ella si ritrova per causa del suo negozio, cioè ritenuto nelle stanze del Sant'Uffizio; il che per una parte mi dà molto disgusto, persuadendomi ch'Ella si ritrovi con poca quiete dell'animo, e fors'anco non con tutte le comodità del corpo...


Virginia Galilei, Lettere al padre, 84.

 
Galileo di fronte al Sant'Uffizio, di Joseph-Nicolas Robert-Fleury (1847), Louvre a Parigi
Io Galileo, fig.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S.a Cattolica e Apostolica Chiesa.

—-Galileo, Abiura

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto...

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto 1, 1-2.

 
Il Giardino degli Ariosto, olio di Anselm Feuerbach (1863). In quest'opera Ludovico Ariosto è rappresentato mentre legge i suoi poemi cavallereschi tra il corteggio di amici presso al sua villa a Ferrara
Ha visto Roma, ha visto Firenze, è stato in Lombardia, ma il suo mondo non si è ingrandito; il suo centro è rimasto Ferrara; e le sue cure domestiche, i suoi umori con la corte, i suoi piccoli fastidi, i suoi amori, le sue relazioni letterarie, i suoi interessi privati sono tutta la sua preoccupazione allora appunto che l'Italia era corsa da' barbari e si dibatteva nella sua agonia. Il borghese colto, spensierato, pigro, tranquillo, ritirato nella famiglia o tra le allegre brigate, è tutto qui con la sua quiete e il suo «fuge rumores».

Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cap. XIII.


Non esce dal probabile ch’ella s’impacciasse nelle gare civili con Alceo, riottoso spirito, nel quale parve rivivere il mordace e peggiore Archiloco; al quale Alceo s’era dapprima, per amore dell’arte, accostata e divenutagli amica. Ma quell’Alceo, che n’ottenne amicizia, la richiese anco d’amore: ella rifiutò.

Giuseppe Bustelli, Vita di Saffo da Mitilene, Cap. VIII.

 
Saffo ed Alceo, olio su tela di Lawrence Alma-Tadema (1881).
Nè mancò tuttavia chi credesse nato da momentaneo sdegno quel rifiuto amaro: perciocchè, secondo Ermesianatte citato da Ateneo (XIII), Alceo soleva cantar sulla cetra questo amore. E d’Alceo ci pervenne un saluto a Saffo (nell’Arte di Attilio Fortunaziano): «Saffo, dalle chiome di viola, casta, dal dolce sorriso.»...

Giuseppe Bustelli, Vita di Saffo da Mitilene, Cap. VIII.


La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. Ci fu permesso d'abbracciare il dottor Cesare Armari nostro amico. Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.

Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV.

 
La notte del 26 marzo 1822, olio su tela di Carlo Felice Biscarra, Casa Cavassa, Saluzzo. Si tratta della notte in cui Silvio Pellico e Piero Maroncelli vennero trasferiti dalla prigione dei Piombi (Venezia) alla fortezza dello Spielberg (Brno)
Ivi giunti, trovammo allestiti due legni. Montarono Rezia e Canova nell'uno; Maroncelli ed io nell'altro. In uno dei legni era co' due prigioni il commissario, nell'altro un sottocommissario cogli altri due. Compivano il convoglio sei o sette guardie di polizia, armate di schioppo e sciabola, distribuite parte dentro i legni, parte sulla cassetta del vetturino.

Essere costretto da sventura ad abbandonare la patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni fra sgherri, è cosa sì straziante che non v'ha termini per accennarla!


Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV.

 
Nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.


Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XI.

 
San Francesco riceve le stigmate, olio su tela di Ludovico Cigoli, Galleria degli Uffizi, Firenze (1596).

 
Ney pié et nelle mano
et anche nel costato
apparve a mano a mano
Francesco allor signato;
così stimatizzato
se retrovò de fresco,
sì che veder Francesco
Cristo vedere paria.


Anonimo, Le Stimmate di San Francesco.

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